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martedì 17 febbraio 2015

L’incompiuta


Il più grande mercato del mondo è al contempo un nano politico.  E’ l’incompiuta europea incapace di coniugare la propria vocazione mercantile dedita al miope interesse particolare con una visione più alta che persegua l’ideale di un progetto destinato a fare di una congrega di Stati imbelli e litigiosi, una patria comune.  Ai soci più ricchi di questo mercato delle vacche che si lamentano di dover pagare il conto dei costi causati dai Paesi più poveri, bisognerebbe ricordare che la storia delle nazioni in tutte le parti del mondo è la storia di ricchezze economiche che vengono soccorse da povertà ricche di ingegno. Ciascuna comunità ha il suo Mezzogiorno che porta in dote, assieme alle problematiche sociali ed economiche, doni che rafforzano il DNA di una identità altrimenti più povera e incompleta. Che ne sarebbe della Germania senza L’Italia, la terra dei limoni amata da Goethe e del Rinascimento? E dell’Italia senza la Germania che con il suo Ottocento ha influenzato la cultura del mondo e che proprio con l’Italia ha vissuto secoli di osmosi che risalgono ai tempi di Federico II o senza la Francia, la terra del lumi? Dove sarebbe la civiltà che pone l’uomo al centro dell’universo che ci ha permeato se non ci fossero state le nazioni europee che l’hanno condivisa? E non è l’ adesione ai medesimi valori un motivo sufficiente per decretarci appartenenti ad una patria comune?                                                                                                                                                                 Sennonché prevalgono gli interessi di bottega che ci fanno avanzare in ordine sparso contro i pericoli che ci insidiano in eguale misura. E allora è possibile assistere allo spettacolo penoso della conferenza di MInsk in cui l’Europa ha dimostrato di non esistere come entità politica escludendo dai colloqui l’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari esteri e ha mostrato tutta la sua debolezza dichiarando, ancor prima che iniziassero i colloqui e per la bocca di una Merkel preda di un complesso di inferiorità nei confronti della Russia, che un accordo pur che sia con Putin si imponeva. Putin ne ha tenuto ben conto e i risultati si sono visti.  Anche qui ha prevalso la logica dei numeri delle due nazioni più ricche piuttosto che una condivisa e fiera presa di coscienza comune.                                                                                                                                                              Un’altra cartina di tornasole della debolezza europea è quella fornitaci dagli avvenimenti libici. Una Francia in vena di protagonismo ha voluto dare una riverniciata alla sua pretesa grandeur, capeggiando l’attacco a Gheddafi. Con l’alibi della bandiera dei diritti umani brandita da un Bernard- Henri Lévy bardo dell’etica delle intenzioni che si fotte dell’etica della responsabilità, il signor Sarkozy in effetti mirava al petrolio libico. Siamo sempre lì, la logica dei bottegai ha avuto la prevalenza e i risultati si stanno vedendo. Non dico che Gheddafi fosse un campione di democrazia e che non gli si dovessero prendere in qualche modo le misure, ma statisti che hanno la presunzione di sentirsi tali devono sapere quali possono essere le conseguenze delle loro azioni ed essere pronti a fronteggiarle. Con la scomparsa di Gheddafi si è scoperchiato il vaso di Pandora. Abbiamo l’ISIS alle calcagna, la Francia così bellicosa all’epoca di Gheddafi adesso è in preda al panico, della Germania non si hanno notizie, e l’Italia che avrebbe dovuto nella circostanza rivendicare un suo ruolo primario in considerazione dei suoi rapporti privilegiati con la Libia, non ha saputo fare altro che passare dal baciamano al bombardamento del tiranno, ed oggi si trova a dover pagare il conto più salato mentre i partner europei giocano a rimpiattino.                                                                                                                                                                          Un altro caso paradigmatico è quello della Grecia, una nazione che è sull’orlo della bancarotta ma è parte dell’Unione Europea che dovrebbe essere sentita come pezzo irrinunciabile della nostra storia e invece gravita nell’orbita della Russia navigando in tutt’altra direzione rispetto ai progetti europei. Abbiamo un cavallo di Troia dentro la cittadella europea e nessuno se ne preoccupa, la sola preoccupazione che ha animato i ragionieri di Bruxelles  è quella di scudisciare le cicale ateniesi facendo di conti e dimenticando che a tanto si è arrivati anche grazie all’avidità dei Paesi cosiddetti virtuosi, e che una soluzione politica è nell’interesse di tutti certamente più di quella che offre la Grecia su un piatto d’argento alla sinistra europea orfana dell’URRSS che attraverso SYRIZA si prende le sue rivincite perpetuando quella sciagurata vocazione terzomondista che tanti guasti ha prodotto.                                                                                                                                            Una Europa che avesse un minimo di dignità e di schiena diritta, che sapesse affrontare le vicende nelle quali si imbatte  senza complessi di colpa e con la consapevolezza che affrontare con risolutezza i problemi non significa essere guerrafondai, che le guerre si combattono proprio per difendere i principi democratici,  dovrebbe finalmente individuare in maniera più determinata e costruttiva il comune denominatore che  lega i suoi popoli, dotarsi di una forte identità politica, marciare come una sola nazione e mostrare al mondo che è ferma nella difesa dei valori che l’accomunano, anziché dividersi sulle convenienze di bottega e marciare debole alla mercé di chi la vuole colonizzare.

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