Il più grande mercato del mondo è al contempo un nano
politico. E’ l’incompiuta europea incapace
di coniugare la propria vocazione mercantile dedita al miope interesse
particolare con una visione più alta che persegua l’ideale di un progetto destinato
a fare di una congrega di Stati imbelli e litigiosi, una patria comune. Ai soci più ricchi di questo mercato delle
vacche che si lamentano di dover pagare il conto dei costi causati dai Paesi
più poveri, bisognerebbe ricordare che la storia delle nazioni in tutte le
parti del mondo è la storia di ricchezze economiche che vengono soccorse da
povertà ricche di ingegno. Ciascuna comunità ha il suo Mezzogiorno che porta in
dote, assieme alle problematiche sociali ed economiche, doni che rafforzano il
DNA di una identità altrimenti più povera e incompleta. Che ne sarebbe della
Germania senza L’Italia, la terra dei limoni amata da Goethe e del
Rinascimento? E dell’Italia senza la Germania che con il suo Ottocento ha
influenzato la cultura del mondo e che proprio con l’Italia ha vissuto secoli
di osmosi che risalgono ai tempi di Federico II o senza la Francia, la terra
del lumi? Dove sarebbe la civiltà che pone l’uomo al centro dell’universo che
ci ha permeato se non ci fossero state le nazioni europee che l’hanno condivisa?
E non è l’ adesione ai medesimi valori un motivo sufficiente per decretarci
appartenenti ad una patria comune?
Sennonché
prevalgono gli interessi di bottega che ci fanno avanzare in ordine sparso
contro i pericoli che ci insidiano in eguale misura. E allora è possibile
assistere allo spettacolo penoso della conferenza di MInsk in cui l’Europa ha
dimostrato di non esistere come entità politica escludendo dai colloqui l’Alto
rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari esteri e ha mostrato tutta la
sua debolezza dichiarando, ancor prima che iniziassero i colloqui e per la
bocca di una Merkel preda di un complesso di inferiorità nei confronti della
Russia, che un accordo pur che sia con Putin si imponeva. Putin ne ha tenuto
ben conto e i risultati si sono visti. Anche
qui ha prevalso la logica dei numeri delle due nazioni più ricche piuttosto che
una condivisa e fiera presa di coscienza comune.
Un’altra cartina di tornasole della debolezza europea è quella fornitaci
dagli avvenimenti libici. Una Francia in vena di protagonismo ha voluto dare
una riverniciata alla sua pretesa grandeur, capeggiando l’attacco a Gheddafi.
Con l’alibi della bandiera dei diritti umani brandita da un Bernard- Henri Lévy
bardo dell’etica delle intenzioni che si fotte dell’etica della responsabilità,
il signor Sarkozy in effetti mirava al petrolio libico. Siamo sempre lì, la
logica dei bottegai ha avuto la prevalenza e i risultati si stanno vedendo. Non
dico che Gheddafi fosse un campione di democrazia e che non gli si dovessero
prendere in qualche modo le misure, ma statisti che hanno la presunzione di
sentirsi tali devono sapere quali possono essere le conseguenze delle loro azioni
ed essere pronti a fronteggiarle. Con la scomparsa di Gheddafi si è
scoperchiato il vaso di Pandora. Abbiamo l’ISIS alle calcagna, la Francia così
bellicosa all’epoca di Gheddafi adesso è in preda al panico, della Germania non
si hanno notizie, e l’Italia che avrebbe dovuto nella circostanza rivendicare
un suo ruolo primario in considerazione dei suoi rapporti privilegiati con la
Libia, non ha saputo fare altro che passare dal baciamano al bombardamento del
tiranno, ed oggi si trova a dover pagare il conto più salato mentre i partner
europei giocano a rimpiattino.
Un altro caso paradigmatico è quello della
Grecia, una nazione che è sull’orlo della bancarotta ma è parte dell’Unione
Europea che dovrebbe essere sentita come pezzo irrinunciabile della nostra storia
e invece gravita nell’orbita della Russia navigando in tutt’altra direzione
rispetto ai progetti europei. Abbiamo un cavallo di Troia dentro la cittadella
europea e nessuno se ne preoccupa, la sola preoccupazione che ha animato i
ragionieri di Bruxelles è quella di
scudisciare le cicale ateniesi facendo di conti e dimenticando che a tanto si è
arrivati anche grazie all’avidità dei Paesi cosiddetti virtuosi, e che una
soluzione politica è nell’interesse di tutti certamente più di quella che offre
la Grecia su un piatto d’argento alla sinistra europea orfana dell’URRSS che
attraverso SYRIZA si prende le sue rivincite perpetuando quella sciagurata
vocazione terzomondista che tanti guasti ha prodotto.
Una Europa che avesse
un minimo di dignità e di schiena diritta, che sapesse affrontare le vicende
nelle quali si imbatte senza complessi
di colpa e con la consapevolezza che affrontare con risolutezza i problemi non
significa essere guerrafondai, che le guerre si combattono proprio per
difendere i principi democratici, dovrebbe
finalmente individuare in maniera più determinata e costruttiva il comune
denominatore che lega i suoi popoli,
dotarsi di una forte identità politica, marciare come una sola nazione e
mostrare al mondo che è ferma nella difesa dei valori che l’accomunano, anziché
dividersi sulle convenienze di bottega e marciare debole alla mercé di chi la
vuole colonizzare.
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