Quella degli agenti penitenziari è
una delle occupazioni meno ambite. In carcere si è soliti dire che fare il
secondino è l’ultima spiaggia per chi non riesce a trovare uno sbocco
lavorativo più soddisfacente, e questo la dice tutta sulla considerazione che i
detenuti hanno degli agenti e sul clima che si respira tra le due parti. Il
bello (o il brutto ) è che anche gli agenti avvertono la singolarità del loro
lavoro e ne portano le stimmate nella loro psiche. Passare buona parte della
loro vita da detenuti né più né meno dei reclusi che hanno in custodia, avere
il compito di serrare dietro le sbarre la libertà di altri uomini, assorbire la
tensione che ne consegue, portarsi a casa i veleni del carcere mischiandoli ad
un menage familiare che finisce per risentirne, riportare le frustrazioni che
ne derivano in carcere ( con la conseguenza che, oltre che tra i detenuti, anche
tra gli agenti ricorrono frequenti casi di suicidio ), produce delle ferite che
non si cancellano e spiega il motivo per il quale gli agenti considerano i
detenuti ( guarda caso quegli stessi grazie ai quali hanno colto la loro unica
opportunità di lavoro ) responsabili del loro disagio e infieriscono su di loro
non appena se ne presenta l’occasione. Occasione che si è presentata proprio in
questi giorni quando si è avuta notizia del suicidio nel carcere di Opera del
detenuto Ioan Gabriel Barbuta e alcuni agenti penitenziari hanno vomitato in
rete frasi terribili che danno la misura di ciò che intendeva Hobbes a
proposito della natura umana. E tuttavia la natura è spesso figlia delle
circostanze, e i colpevoli non sempre sono così colpevoli come sembra. C’è una
realtà che pochi conoscono, la realtà della carcerazione in Italia, una
condizione ai limiti del tollerabile che non è inflitta ai soli detenuti ma
coinvolge anche gli agenti costretti a lavorare in un ambiente insicuro e
carico di sospetti, in cui l’imponderabile è sempre dietro l’angolo e dove è
costantemente in corso una guerra tra poveri. La disattesa vocazione del
carcere quale luogo di rieducazione, la sua incapacità di creare un clima di
complicità positiva tra detenuti e agenti che realizzi l’obiettivo di edificare
creature nuove, sono all’origine delle scioccanti reazioni in rete, ed è per
questo che, sebbene non si possa non condividere la decisione di punire gli
autori delle frasi incriminate, non si può altresì non riconoscere che essi
sono colpevoli irresponsabili di un odio inoculato dall’unico vero responsabile:
lo Stato!
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lunedì 23 febbraio 2015
martedì 17 febbraio 2015
L’incompiuta
Il più grande mercato del mondo è al contempo un nano
politico. E’ l’incompiuta europea incapace
di coniugare la propria vocazione mercantile dedita al miope interesse
particolare con una visione più alta che persegua l’ideale di un progetto destinato
a fare di una congrega di Stati imbelli e litigiosi, una patria comune. Ai soci più ricchi di questo mercato delle
vacche che si lamentano di dover pagare il conto dei costi causati dai Paesi
più poveri, bisognerebbe ricordare che la storia delle nazioni in tutte le
parti del mondo è la storia di ricchezze economiche che vengono soccorse da
povertà ricche di ingegno. Ciascuna comunità ha il suo Mezzogiorno che porta in
dote, assieme alle problematiche sociali ed economiche, doni che rafforzano il
DNA di una identità altrimenti più povera e incompleta. Che ne sarebbe della
Germania senza L’Italia, la terra dei limoni amata da Goethe e del
Rinascimento? E dell’Italia senza la Germania che con il suo Ottocento ha
influenzato la cultura del mondo e che proprio con l’Italia ha vissuto secoli
di osmosi che risalgono ai tempi di Federico II o senza la Francia, la terra
del lumi? Dove sarebbe la civiltà che pone l’uomo al centro dell’universo che
ci ha permeato se non ci fossero state le nazioni europee che l’hanno condivisa?
E non è l’ adesione ai medesimi valori un motivo sufficiente per decretarci
appartenenti ad una patria comune?
Sennonché
prevalgono gli interessi di bottega che ci fanno avanzare in ordine sparso
contro i pericoli che ci insidiano in eguale misura. E allora è possibile
assistere allo spettacolo penoso della conferenza di MInsk in cui l’Europa ha
dimostrato di non esistere come entità politica escludendo dai colloqui l’Alto
rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari esteri e ha mostrato tutta la
sua debolezza dichiarando, ancor prima che iniziassero i colloqui e per la
bocca di una Merkel preda di un complesso di inferiorità nei confronti della
Russia, che un accordo pur che sia con Putin si imponeva. Putin ne ha tenuto
ben conto e i risultati si sono visti. Anche
qui ha prevalso la logica dei numeri delle due nazioni più ricche piuttosto che
una condivisa e fiera presa di coscienza comune.
Un’altra cartina di tornasole della debolezza europea è quella fornitaci
dagli avvenimenti libici. Una Francia in vena di protagonismo ha voluto dare
una riverniciata alla sua pretesa grandeur, capeggiando l’attacco a Gheddafi.
Con l’alibi della bandiera dei diritti umani brandita da un Bernard- Henri Lévy
bardo dell’etica delle intenzioni che si fotte dell’etica della responsabilità,
il signor Sarkozy in effetti mirava al petrolio libico. Siamo sempre lì, la
logica dei bottegai ha avuto la prevalenza e i risultati si stanno vedendo. Non
dico che Gheddafi fosse un campione di democrazia e che non gli si dovessero
prendere in qualche modo le misure, ma statisti che hanno la presunzione di
sentirsi tali devono sapere quali possono essere le conseguenze delle loro azioni
ed essere pronti a fronteggiarle. Con la scomparsa di Gheddafi si è
scoperchiato il vaso di Pandora. Abbiamo l’ISIS alle calcagna, la Francia così
bellicosa all’epoca di Gheddafi adesso è in preda al panico, della Germania non
si hanno notizie, e l’Italia che avrebbe dovuto nella circostanza rivendicare
un suo ruolo primario in considerazione dei suoi rapporti privilegiati con la
Libia, non ha saputo fare altro che passare dal baciamano al bombardamento del
tiranno, ed oggi si trova a dover pagare il conto più salato mentre i partner
europei giocano a rimpiattino.
Un altro caso paradigmatico è quello della
Grecia, una nazione che è sull’orlo della bancarotta ma è parte dell’Unione
Europea che dovrebbe essere sentita come pezzo irrinunciabile della nostra storia
e invece gravita nell’orbita della Russia navigando in tutt’altra direzione
rispetto ai progetti europei. Abbiamo un cavallo di Troia dentro la cittadella
europea e nessuno se ne preoccupa, la sola preoccupazione che ha animato i
ragionieri di Bruxelles è quella di
scudisciare le cicale ateniesi facendo di conti e dimenticando che a tanto si è
arrivati anche grazie all’avidità dei Paesi cosiddetti virtuosi, e che una
soluzione politica è nell’interesse di tutti certamente più di quella che offre
la Grecia su un piatto d’argento alla sinistra europea orfana dell’URRSS che
attraverso SYRIZA si prende le sue rivincite perpetuando quella sciagurata
vocazione terzomondista che tanti guasti ha prodotto.
Una Europa che avesse
un minimo di dignità e di schiena diritta, che sapesse affrontare le vicende
nelle quali si imbatte senza complessi
di colpa e con la consapevolezza che affrontare con risolutezza i problemi non
significa essere guerrafondai, che le guerre si combattono proprio per
difendere i principi democratici, dovrebbe
finalmente individuare in maniera più determinata e costruttiva il comune
denominatore che lega i suoi popoli,
dotarsi di una forte identità politica, marciare come una sola nazione e
mostrare al mondo che è ferma nella difesa dei valori che l’accomunano, anziché
dividersi sulle convenienze di bottega e marciare debole alla mercé di chi la
vuole colonizzare.
sabato 14 febbraio 2015
Lo slalom nella miseria
La mattina prima di uscire, mi
munisco di un po’ di spiccioli. So che incontrerò un manipolo di questuanti che
ormai sono diventati i compagni abituali delle mie passeggiate e so anche che,
nonostante mia moglie (molto più furba di me) mi metta in guardia contro una
miseria che potrebbe essere un inganno, non riuscirò a passare oltre come se
nulla fosse. Peraltro provo un senso di gratitudine per quei ragazzoni che
allungano la mano chiedendo uno po’ di centesimi che li aiutino a sbarcare il
lunario, perché anche essi come me sono soci del club degli emarginati e mi
fanno sentire meno solo. Stamattina lo scenario consueto si è arricchito di una
variante, due ragazze hanno inaugurato una nuova rappresentazione della
sofferenza. Inginocchiate sul marciapiede, con un cartello appeso al collo, lo
sguardo fisso e chino verso il basso, senza muovere un muscolo, sparano in
faccia ai passanti l’appello ad aiutarle a curare un bambino ammalato o la
madre in fase terminale. Non so se ha ragione mia moglie e se debbo diffidare,
so che la mia fragile sensibilità è andata in crisi. Va bene la condivisione
della sofferenza ma ci sono limiti oltre i quali l’uomo non può andare. Sia che
recitino una finzione o vivano una realtà autentica, che mandino in scena una
cinica mistificazione oppure una vera sofferenza, in entrambi i casi queste ragazze
sconfinano in una oscena rappresentazione della miseria umana. Di questa
miseria possono andar fieri gli artefici che l’hanno generata, governanti inadeguati e in mala fede che ci raccontano
come tutto avviene nell’interesse del Paese mentre i soliti noti guazzano nei
privilegi grazie a meccanismi iniqui che premiano gli appartenenti alle caste. E proprio ai più alti livelli dove
l’ingiustizia sociale viene perpetrata più sfacciatamente, assistiamo alla
indegna pantomina della solennità morale ad opera dei sepolcri imbiancati che
si strappano le vesti denunciando con calde lacrime la sofferenza dei diseredati
e al contempo godono di prebende da capogiro, senza avvertire il disgusto di sé
davanti allo spettacolo dei giovani che
mendicano in ginocchio e degli anziani che si arrangiano con cinquecento euro
al mese. Al danno aggiungono la beffa dell’irrisione e dell’ipocrisia.
lunedì 2 febbraio 2015
Ma Renzi è un uomo d’onore
Bisogna dargliene atto, Renzi è un camaleonte capace di
tutti i mutamenti necessari a raggiungere lo scopo. Affabulatore e non
particolarmente propenso a vincoli di lealtà, piega la politica agli
obiettivi che si è posto senza tanti scrupoli
e tentennamenti. Ha seminato il suo cammino di fior di vittime che si sono
fatte irretire dal canto delle sue sirene, tranquillo Enrico, tranquillo
Silvio, e si è visto come è andata a finire. E tranquilla anche la minoranza PD
che, dopo essere stata bellamente ignorata sulla legge elettorale e adescata
nella partita per l’elezione del Capo
dello Stato, tornerà puntualmente a non contare nulla. Sulla marginalità del Nuovo Centro Destra
accantonata come una ciabatta vecchia sulle decisioni più importanti,
sorvoliamo per carità di patria (mi sfugge il motivo dell’esultanza con cui
l’on. Alfano ha salutato l’elezione di Sergio Mattarella). Ma, per dirla con uno che se ne intendeva,
Renzi è un uomo d’onore e se ha sacrificato le sue vittime, avrà avuto i suoi
buoni motivi, tanto cinismo deve necessariamente avere una sua ragione d’essere
nella nobiltà degli obiettivi. E nobile è stato certamente il proposito di
candidare Mattarella a sedere sullo scranno del Quirinale consumando l’ennesimo
strappo alle spalle dei suoi alleati. Mattarella ha nutrito anche lui le sue
brave passioni con uno spirito di parte che ha deragliato dalla sua proverbiale
impassibilità, allorché si è dimesso da ministro in dissenso con la legge Mammì
che aveva il torto di allargare la fascia d’informazione e intrattenimento
televisivo o quando ha definito l’ingresso di Forza Italia nel PPE un “incubo
irrazionale” o ha bollato con l’epiteto di fascista Buttiglione reo di aver fatto delle scelte diverse dalle sue. Ha
dunque nei suoi precordi una certa vocazione a derive manichee e non è il caso
di santificarlo, tuttavia dà l’impressione di essere un uomo di cui ci si può
fidare, schivo e lontano dalla politica gridata, quasi ascetico e di poche
parole, lodevole per la sua mancanza di esibizione delle stimmate di parente di
un martire della mafia, un uomo insomma in grado di offrire sufficienti
garanzie di imparzialità e di tutela delle prerogative costituzionali. E Renzi non si è fatta sfuggire la ghiotta
occasione imponendolo e facendolo eleggere Presidente della Repubblica, nell’interesse
degli italiani certo ma anche nella convinzione che il nuovo inquilino del
Quirinale, mite e poco incline a levate di scudi, non gli farà ombra.
Attenzione però, nessuno ha mai visto sorridere Mattarella e chi lo conosce
giura che dietro quell’aspetto grigio si nasconde una schiena dritta non
disponibile a giochi che non rispettino le regole. E’ proprio sicuro il nostro Bruto di avere
fatto la scelta giusta puntando su Mattarella e di avere fatto un buon affare mortificando
Berlusconi e complicandosi la vita sul percorso delle riforme, o non dovrà fare
i conti con la legge del contrappasso che lo attende a Filippi?
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