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mercoledì 8 ottobre 2014

La provocazione dei mafiosi



Complimenti ad Antonio Poito!
Ci eravamo illusi che in quella fiera delle verità omologate che è il mondo degli opinion leader, ci fossero delle sacche di onestà intellettuale di cui proprio Polito era uno dei pochi esempi, ed ecco che il nostro ha provveduto a toglierci ogni illusione. In un articolo apparso sul Corriere della Sera di venerdì 3 ottobre egli scrive: “Non era prevedibilissimo, era praticamente certo che i due boss di Cosa Nostra Riina e Bagarella avrebbero tentato di inquinare, avendone l’opportunità, il processo sulla presunta trattativa tra Stato e mafia. La loro richiesta di essere collegati in videoconferenza con il Quirinale, quando il 28 ottobre deporrà Giorgio Napolitano, era ampiamente annunciata. Né potevano avere dubbi in proposito la Procura di Palermo, che quella deposizione ha chiesto, e la Corte d’Assise, che quella deposizione ha disposto, pur avendo ricevuto una lettera con cui Napolitano dichiarava di non disporre di nessuna ulteriore informazione sul fatto in oggetto. Tutti sapevano insomma che, appellandosi al diritto degli imputati di assistere ai loro processi, i capi della mafia avrebbero provato a infilarsi, seppure in effigie, nell’ufficio del Capo dello Stato…” e, aggiungo io, a fargli, per mezzo dei loro avvocati, domande che, a detta di Polito, suonerebbero come una "prevedibilissima provocazione”. Ora, se è chiaro quello che è accaduto e lo scenario che è destinato a dipingersi, meno chiaro è dove Polito vuole andare a parare. Quando Polito sostiene che i mafiosi chiedono di assistere all’udienza in cui sarà sentito Napolitano, per provocare e inquinare, vuole forse dire che, pur di non provocare, essi debbono rinunciare ad un loro diritto? E i pm che interrogheranno Napolitano, nonostante questi abbia scritto di non disporre di notizie utili al processo, provocheranno anche essi? Oppure vuole dire che un conto è ciò che è consentito ai pm, un altro è ciò che non può essere consentito ai mafiosi? Non solo ma, lamenta Polito, a un Riina ammesso a presenziare al processo, si offre l’ opportunità di continuare  a “lanciare messaggi all’esterno del carcere”, così come ha fatto finora “attraverso quella specie di grande fratello carcerario che sono le sue conversazioni dell’ora d’aria registrate dai pm”.
Sinceramente c’è qualcosa che mi sfugge. Ma forse che le conversazioni di Riina dell’ora d’aria sono trapelate all’esterno attraverso un sofisticatissimo sistema di comunicazione attivato dallo stesso Riina, oppure attraverso canali istituzionali che le hanno diffuse urbi et orbi?  Se è così, ed è così, perché, se si temeva che potessero diventare  dei messaggi per l’esterno, quelle conversazioni non sono state segretate? Leggendo l’articolo si ha come l’impressione che l’audizione si debba alla capacità dei mafiosi di  procurarsi l’opportunità di “infilarsi nell’ufficio del Capo dello Stato” per destabilizzare. L’audizione che rischia di creare imbarazzo istituzionale, non solo per il confronto che può esserci tra il Capo dello Stato e gli imputati ma anche per le insidie che si nascondono in un interrogatorio cui è sottoposto un teste dai pm, si deve ad una decisione della Corte la quale conosceva i diritti delle parti e le proprie prerogative, sapeva che i testi possono essere ammessi o no in base al proprio discernimento e avrebbe potuto, nello specifico, negare l’audizione senza alcuno scandalo, basandosi sul contenuto della lettera di Napolitano. L’ultima parola è ancora alla Corte la quale si è riservata di decidere se ammettere o no gli imputati al processo (sarà interessante conoscere i motivi di una eventuale diniego), ma, per favore, non cadiamo nella solita , abusata solfa di attribuire ai mafiosi disegni oscuri, quando invece a fornire loro gli assist  sono proprio le istituzioni.

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