L’assedio dello Stato
Stiamo vivendo una strana stagione che vede realizzate le
più pessimistiche previsioni di Orwell.
Ci guardiamo attorno con circospezione come se temessimo
imboscate, controlliamo le nostre condotte perché non suscitino sospetti, parliamo,
spendiamo, vestiamo con sobrietà per non svegliare gli appetiti di chi ci
controlla e potrebbe farcela pagare. Quando mia moglie ed io riusciamo a
ricavare dalle magre risorse di un bilancio legato ad una pensione men che
modesta gli spiccioli per abbandonarci al lusso di una serata in pizzeria, lo
facciamo con un senso di apprensione, come temendo di essere sorpresi in
fragranza di sperpero. Sorridiamo alla fine delle nostre paure e ci diciamo
che, per quanto rigoroso, il redditometro ha pur sempre una sua ragionevolezza.
Ma non per tutti è così semplice. Non lo è per esempio per chi non ha un lavoro
certo e si deve ingegnare con lavoretti in nero da cui ricavare il poco che
serve a sopravvivere ma ha il problema, se sorpreso a sopravvivere, di dimostrare
come riesce a farlo. Non è semplice per l’esercito degli acrobati
dell’espediente che si insinuano nelle pieghe della società sfruttando ogni
anfratto che offra riparo, con alle calcagna il rischio, sempre dietro
l’angolo, di incespicare in un passo falso che presenti il conto per il reato
di ribellione all’indigenza.
Quando, sbarcando da un aereo o da una nave, veniamo
annusati dai cani poliziotto, avvertiamo più che il sollievo di sentirci
tutelati dallo Stato, la paura che possiamo incappare in qualche irregolarità
non voluta perché non sempre sappiamo che cosa è consentito e cosa non,
affrontiamo con un pizzico di preoccupazione l’esame del cane o del metal
detector, osserviamo con apprensione le espressioni del poliziotto cercando di
capire se tutto è a posto, ci comportiamo con un atteggiamento guardingo nei
confronti dello Stato perché questo è l’atteggiamento che ci ha ispirato lo
Stato spiandoci, violando la nostra vita privata, vessandoci. E’ di questi
giorni la sentenza del giudice Antonio Lepre del Tribunale civile di Napoli il
quale, partendo da considerazioni sulla tutela dei diritti fondamentali
prevista nella Costituzione e nella Carta dei diritti dell’Unione europea,
boccia il redditometro perché “fuori dalla legalità costituzionale e comunitaria,
in quanto esso è“eminentemente inquisitorio e sanzionatorio” e determina “ la
soppressione definitiva del diritto del contribuente e della sua famiglia ad
avere una vita privata, a poter gestire autonomamente il proprio denaro, ad
essere quindi libero nelle proprie determinazioni senza dover essere sottoposto
all’invadenza del potere esecutivo…..e subire intrusioni su aspetti anche
delicatissimi della sua vita privata……”.
Se, facendo un acquisto, non possiamo utilizzare una somma
contante pari o superiore ai 1000 euro senza rischiare una indagine per
evasione fiscale, se, facendo in banca o alla posta un prelievo dai nostri
sacrosanti risparmi peraltro già tracciati, superiore ad una certa cifra, siamo
obbligati a dichiarare il destino di queste somme, se, telefonando, dobbiamo
preoccuparci di essere chiari in maniera pedissequa per evitare di essere
fraintesi da chi ci controlla, prendiamo atto che il Grande Fratello è tra noi.
Se all’espediente siamo stati indotti da uno Stato predatore
il quale tassa la casa che ha già conosciuto in corso di edificazione i
balzelli dovuti per ogni suo tassello impiegato, tassa la pensione che è già
stata massacrata alla fonte ed in molti casi è rimasta l’unica risorsa a
disposizione, tassa il lavoro ai dipendenti e alle imprese in un momento in cui
il lavoro e le imprese andrebbero incentivate, se non riusciamo a far decollare
la più importante impresa che abbiamo, il nostro patrimonio artistico e
naturalistico unico al mondo che da solo potrebbe assicurare un bel balzo in
avanti al nostro Pil e una soluzione alla nostra disoccupazione, mentre invece
lasciamo degradare le nostre coste, i nostri siti archeologici, i nostri musei,
le nostre opere d’arte, e non riusciamo ad attrarre quella manna dal cielo che
sono i milioni di turisti cinesi e giapponesi, scendendo sempre più in
posizioni di retroguardia, se la nostra classe dirigente non ha saputo
amministrare il nostro bilancio riducendoci nelle condizioni in cui siamo e,
nonostante ciò, ha la sfrontatezza di proporsi alla guida del Paese con gli
uomini di sempre e per di più sale in cattedra pretendendo di impartire lezioni
di virtù mentre la sola virtù che essa pratica è l’agiatezza della sua
condizione privilegiata di contro alla indigenza di un popolo strozzato dalle
sue ruberie, se questa classe dirigente ha l’impudenza di tuonare contro gli
evasori fiscali nello stesso tempo in cui saccheggia le casse dello Stato, se
lo Stato non ha saputo modificare le proprie strutture arcaiche, smantellare le
corporazioni al suo interno, punire incapacità, scoraggiare privilegi
accumulati dai suoi apparati, se sempre lo Stato con cui abbiamo sottoscritto
il nostro patto nella doppia veste di cittadini titolari di diritti e di
sudditi della legge si è trasformato in un insaziabile esattore che ci ha
spogliato della nostra veste di cittadini per imporci quella di sudditi
dell’abuso, se questo è lo Stato con cui dobbiamo fare i conti, c’è da stupirsi
se in tanti cercano una nuova patria e quali illusioni possiamo coltivare?
Per dirla con Arbore, meditate gente meditate mentre vi
apprestate a decidere se votare e per chi votare.
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