Pasqua
La Pasqua giunge al cuore del cristiano con un impatto più dirompente di qualsiasi altra ricorrenza perché con essa si compie la missione di Cristo.
L’uomo porta con se la dote del male con il cui mistero si sono confrontati importanti uomini di pensiero e persino padri della Chiesa, senza esiti convincenti. Uno dei più agguerriti tra essi, S. Agostino, sostiene che la realtà è solo ciò che proviene da Dio che è bene e dunque il male, in quanto negazione del bene e deficienza dell’essere, mancanza di sostanza che si verifica quando l’uomo volge le spalle a Dio e si rivolge a se stesso e al proprio interesse, non è reale.
Viene facile opporre che, se tutto proviene da Dio che è bene, se la volontà dell’uomo finisce dove comincia la volontà di Dio e l’uomo agisce in grazia di Dio, non si spiega come l’uomo volga le spalle a Dio e operi quella privazione dell’essere che si traduce in volizione del male. Tranne che non si argomenti che Dio ha un suo limite che non riesce a prescindere dal male o peggio che, in quanto artefice dell’uomo, è anche artefice del male dell’uomo. Vengono in mente le riflessioni di Voltaire secondo cui un Dio che tollera il male o non può evitarlo, è impotente, o non vuole evitarlo e, in questo caso è malvagio. E non convince la spiegazione di S.Agostino secondo cui il destino dell’uomo si compie in quel mondo di gradi inferiori rispetto a Dio dipendenti dalla finitudine delle cose create, in balia del suo male e della predestinazione che prescinde dalle azioni.
Secondo questa tesi l’uomo non può far nulla per guadagnarsi la salvezza se non confidare nella grazia crudele e cieca di Dio, un concetto ripreso da Leibniz secondo cui il male coincide con le imperfezioni connesse alla limitatezza dell’uomo nell’ambito dell’armonia prestabilita con cui Dio ha creato il migliore dei mondi e in cui il male è stato dato in dote all’uomo senza gli strumenti per riscattarsi che non siano la grazia di Dio.
Come si vede, per quanti sforzi facciamo per dare una spiegazione al mistero del male, le risposte non sono convincenti e siamo tentati di arrenderci di fronte a questo arcano che ci appare ineluttabile.
L’uomo è dunque destinato a soccombere al male?
La scelta di Dio di concedere all’uomo la volontà di convergere verso di Lui o di rinnegarLo, di realizzare il male ma anche il bene, quel libero arbitrio che può perderlo ma anche salvarlo, la libertà che può anche essere libertà di agire paradossalmente contro la volontà di Dio, lancia una sfida che da un senso all’ esistenza e la riempie di quella dignità senza la quale l’uomo sarebbe una marionetta senza volontà e senza scopo.
Ma di fronte ai castighi della natura, alle tragedie che prescindono dalla volontà dell’uomo, cosa possiamo opporre?
Il male come l’amore sono misteri che non si possono spiegare ed essi si contrappongono in una partita in cui la posta in gioco è fondamentale. In questa partita Dio ha scelto con chi stare.
Egli è a fianco dell’uomo al punto da condividerne la sofferenza attraverso il sacrificio di Cristo innocente, inviando un messaggio che parla di una nuova speranza per l’uomo, di come l’unico strumento capace di combattere e battere il male sia lo strumento dell’amore di cui Egli è venuto a darci un esempio sublime e grazie al quale hic et nunc si compie il destino di noi figli di Dio.
La Pasqua ci riconcilia con Dio e ci riporta alla Sua estrema misericordia e al Suo amore per l’uomo.
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domenica 24 aprile 2011
mercoledì 20 aprile 2011
L’ineluttabilità degli imbecilli
I manifesti apparsi a Milano “Via le B.R. dalle Procure”, non hanno bisogno di commenti. Sono il sintomo di un clima d’odio che non può non preoccupare e fanno bene quanti denunciano la barbarie cui si è giunti, mettendo in guardia contro la deriva istituzionale e il rischio di una escalation che può portare ad una situazione fuori controllo. E tuttavia sono tanto stupidi da potersi considerare innocui, anche se invitano a qualche riflessione. Tutti additano in Berlusconi il mandante morale di quei manifesti e non c’è dubbio che il presidente del Consiglio ce l’ha messa tutta per esasperare gli animi e armare la mano dei solerti servi sciocchi che ritengono con l’esercizio della piaggeria di compiacere il Principe. Ma il problema non è solo Berlusconi e chi si benda gli occhi esercitando altrettanta piaggeria nei confronti della magistratura commiserata come la vittima innocente delle vessazioni del Principe, non rende un buon servizio alla verità e alla stessa magistratura.
Si dice giustamente che i magistrati devono non solo essere ma apparire imparziali, e allora domandiamoci se i magistrati appaiono sempre imparziali.
Nell’assetto istituzionale quello dei magistrati è uno degli ordini più tutelati dalla Costituzione e da una serie di garanzie che ne assicurano l’indipendenza e ne fanno un autentico potere autonomo rispetto agli altri poteri dello Stato. Dispongono di un organo di autogoverno che li difende da intrusioni esterne, di un sindacato potente e ascoltato, di canali istituzionali ai massimi livelli attraverso cui fare sentire la loro voce, dellla possibilità di essere ascoltati nelle commissioni parlamentari in jure condendo e di ricorrere alla Consulta in jure condito. Sono privilegi del tutto legittimi in considerazione del delicato compito ad essi affidato ma tali privilegi devono essere meritati non solo in virtù delle prerogative stabilite dalla legge ma anche dei comportamenti che devono essere al di sopra di ogni sospetto.
Quando il dr. Cascini, segretario della ANM afferma che “ questa maggioranza non ha la legittimazione storica, politica e morale per affrontare il tema della giustizia”, non appare certamente al di sopra di ogni sospetto
Quando i magistrati, nonostante il massiccio apparato di strumenti istituzionali di cui dispongono, rivendicano il diritto di parola in ambito diverso da questi strumenti, esercitano un loro sacrosanto diritto di cittadini, ma in quanto tali non possono invocare il rispetto dovuto al magistrato e devono accettare i toni e i contenuti anche accesi di una dialettica a volte aspra e soprattutto si sottraggono alla loro aura di imparzialità.
Quando le Procure lasciano trapelare la notizia di reato a carico di un indagato e la blindano quando essa è a carico di un indagato più “speciale” o dimenticano di distruggere intercettazioni che la legge impone di distruggere e le danno in pasto all’opinione pubblica, esse appaiono schierate e può accadere di tutto, anche che degli stupidi si abbandonino a deliranti esternazioni.
Non c’è alcuna giustificazione nei confronti dei manifesti apparsi a Milano e nessuna condanna è mai abbastanza forte, ma è mai possibile che la magistratura non sappia essere più sobria ed evitare di fornire alibi agli imbecilli di turno?
I manifesti apparsi a Milano “Via le B.R. dalle Procure”, non hanno bisogno di commenti. Sono il sintomo di un clima d’odio che non può non preoccupare e fanno bene quanti denunciano la barbarie cui si è giunti, mettendo in guardia contro la deriva istituzionale e il rischio di una escalation che può portare ad una situazione fuori controllo. E tuttavia sono tanto stupidi da potersi considerare innocui, anche se invitano a qualche riflessione. Tutti additano in Berlusconi il mandante morale di quei manifesti e non c’è dubbio che il presidente del Consiglio ce l’ha messa tutta per esasperare gli animi e armare la mano dei solerti servi sciocchi che ritengono con l’esercizio della piaggeria di compiacere il Principe. Ma il problema non è solo Berlusconi e chi si benda gli occhi esercitando altrettanta piaggeria nei confronti della magistratura commiserata come la vittima innocente delle vessazioni del Principe, non rende un buon servizio alla verità e alla stessa magistratura.
Si dice giustamente che i magistrati devono non solo essere ma apparire imparziali, e allora domandiamoci se i magistrati appaiono sempre imparziali.
Nell’assetto istituzionale quello dei magistrati è uno degli ordini più tutelati dalla Costituzione e da una serie di garanzie che ne assicurano l’indipendenza e ne fanno un autentico potere autonomo rispetto agli altri poteri dello Stato. Dispongono di un organo di autogoverno che li difende da intrusioni esterne, di un sindacato potente e ascoltato, di canali istituzionali ai massimi livelli attraverso cui fare sentire la loro voce, dellla possibilità di essere ascoltati nelle commissioni parlamentari in jure condendo e di ricorrere alla Consulta in jure condito. Sono privilegi del tutto legittimi in considerazione del delicato compito ad essi affidato ma tali privilegi devono essere meritati non solo in virtù delle prerogative stabilite dalla legge ma anche dei comportamenti che devono essere al di sopra di ogni sospetto.
Quando il dr. Cascini, segretario della ANM afferma che “ questa maggioranza non ha la legittimazione storica, politica e morale per affrontare il tema della giustizia”, non appare certamente al di sopra di ogni sospetto
Quando i magistrati, nonostante il massiccio apparato di strumenti istituzionali di cui dispongono, rivendicano il diritto di parola in ambito diverso da questi strumenti, esercitano un loro sacrosanto diritto di cittadini, ma in quanto tali non possono invocare il rispetto dovuto al magistrato e devono accettare i toni e i contenuti anche accesi di una dialettica a volte aspra e soprattutto si sottraggono alla loro aura di imparzialità.
Quando le Procure lasciano trapelare la notizia di reato a carico di un indagato e la blindano quando essa è a carico di un indagato più “speciale” o dimenticano di distruggere intercettazioni che la legge impone di distruggere e le danno in pasto all’opinione pubblica, esse appaiono schierate e può accadere di tutto, anche che degli stupidi si abbandonino a deliranti esternazioni.
Non c’è alcuna giustificazione nei confronti dei manifesti apparsi a Milano e nessuna condanna è mai abbastanza forte, ma è mai possibile che la magistratura non sappia essere più sobria ed evitare di fornire alibi agli imbecilli di turno?
lunedì 11 aprile 2011
Gli integralisti della fede
Non c’è niente più della sofferenza che dia la misura dei limiti della condizione umana e dell’oscenità di una debolezza senza ritegno provocata dal dolore. E’ una condizione che ricorre nei frangenti drammatici della nostra vita e che ho riscontrato in ospedale dove sono stato ricoverato per un intervento di poco conto e dove sono venuto a contatto con la sofferenza stupita e rassegnata di uomini e donne che si misurano con sfide che non avevano previsto.
In quasi tutti ricorre la convinzione che le cose accadranno agli altri e, quando esse accadono a noi, lo sgomento è tanto più profondo quanto più è impreparato a fronteggiarle.
Ho diviso la mia stanza con un coetaneo, preda dei ricatti di un fisico che lo ha abbandonato da tempo, il quale piangeva ringhiando al proprio dolore con lo spirito indomito che in passato deve essere stato una dote del suo carattere e che si indovinava nelle tracce di una aggressività rabbiosa e senza speranza. Spossato, dopo tanto inveire, aveva perduto la forza della rabbia e gemeva con lamenti flebili appoggiando il capo sul grembo della moglie e accennando un sorriso mesto che si perdeva nello sguardo colmo d’amore della donna china su di lui.
I figli si alternavano nella stanza rassegnati alla cocciutaggine della madre, quella sposa minuta e apparentemente fragile, la quale non voleva saperne di staccarsi dal capezzale del marito che assisteva notte e giorno, ormai da quindici giorni, dormendo come poteva e nutrendosi del poco che le concedeva il suo cuore preso quasi esclusivamente da quella incombenza. Cinquant’anni di matrimonio ne avevano fatto una proiezione del marito e staccarsene anche solo per andare a prendere un caffè, era per lei un tradimento che non riusciva a concepire. Me ne parlava pacatamente come di una ovvietà, stupendosi dell’insistenza dei figli e abbandonandosi a vibrate proteste, lei in genere così mite. Si rivolgeva a me come a chiamarmi a testimone della stoltezza dei figli e si piegava sul marito accarezzandolo sulla fronte e prendendogli le mani.
E’stata un’esperienza, tra le tante di cui sono stato testimone in ospedale, che mi ha colpito particolarmente e che non riesco a dimenticare.
Quando leggiamo che l’uomo, anche il più cristiano tra essi, non è capace di coltivare pietà per i propri simili al punto da concepire i grandi cataclismi come una giustizia di Dio ( Roberto de Mattei ) scimmiottando la teodicea agostiniana in cui l’uomo non ha scampo al proprio male ed è consegnato ad una predestinazione incurante delle sue opere, ricordiamoci di questa piccola donna piegata sul capezzale del marito sotto il peso di una forza che non tollera diserzioni e da la misura della grandezza umana, la forza dell’amore.
In quasi tutti ricorre la convinzione che le cose accadranno agli altri e, quando esse accadono a noi, lo sgomento è tanto più profondo quanto più è impreparato a fronteggiarle.
Ho diviso la mia stanza con un coetaneo, preda dei ricatti di un fisico che lo ha abbandonato da tempo, il quale piangeva ringhiando al proprio dolore con lo spirito indomito che in passato deve essere stato una dote del suo carattere e che si indovinava nelle tracce di una aggressività rabbiosa e senza speranza. Spossato, dopo tanto inveire, aveva perduto la forza della rabbia e gemeva con lamenti flebili appoggiando il capo sul grembo della moglie e accennando un sorriso mesto che si perdeva nello sguardo colmo d’amore della donna china su di lui.
I figli si alternavano nella stanza rassegnati alla cocciutaggine della madre, quella sposa minuta e apparentemente fragile, la quale non voleva saperne di staccarsi dal capezzale del marito che assisteva notte e giorno, ormai da quindici giorni, dormendo come poteva e nutrendosi del poco che le concedeva il suo cuore preso quasi esclusivamente da quella incombenza. Cinquant’anni di matrimonio ne avevano fatto una proiezione del marito e staccarsene anche solo per andare a prendere un caffè, era per lei un tradimento che non riusciva a concepire. Me ne parlava pacatamente come di una ovvietà, stupendosi dell’insistenza dei figli e abbandonandosi a vibrate proteste, lei in genere così mite. Si rivolgeva a me come a chiamarmi a testimone della stoltezza dei figli e si piegava sul marito accarezzandolo sulla fronte e prendendogli le mani.
E’stata un’esperienza, tra le tante di cui sono stato testimone in ospedale, che mi ha colpito particolarmente e che non riesco a dimenticare.
Quando leggiamo che l’uomo, anche il più cristiano tra essi, non è capace di coltivare pietà per i propri simili al punto da concepire i grandi cataclismi come una giustizia di Dio ( Roberto de Mattei ) scimmiottando la teodicea agostiniana in cui l’uomo non ha scampo al proprio male ed è consegnato ad una predestinazione incurante delle sue opere, ricordiamoci di questa piccola donna piegata sul capezzale del marito sotto il peso di una forza che non tollera diserzioni e da la misura della grandezza umana, la forza dell’amore.
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