Del giustizialismo e dintorni
Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, inaugurando a Montecitorio la mostra “ Cesare Beccaria, la civiltà dei diritti “, si è espresso così: “Un moderno sistema penale, giudiziario e penitenziale raggiunge il suo scopo fondamentale di assicurare la giustizia e tutelare la sicurezza dei cittadini quando vengono contemporaneamente garantite la effettività della pena e l’efficace rieducazione del condannato “.
Beccaria fu un uomo di eccezionale e profetica visione del diritto che impresse una svolta epocale alla concezione di giustizia e di dignità dell’individuo. In un’epoca in cui imperava la condanna a morte egli sostenne che lo Stato non aveva diritto di sottrarre la vita a un suo cittadino e, in seguito alla pubblicazione del suo trattato “Dei delitti e delle pene”, la Russia abolì la pena di morte.
Teorizzò che il reato dovesse essere valutato per il danno che esso procura alla sicurezza e all’interesse della comunità e non per l’intenzione, che il peccato dovesse essere diviso dal reato, che l’imputato dovesse essere considerato innocente fino a prova contraria, che il processo dovesse essere breve e la carcerazione preventiva andasse inflitta in casi eccezionali, che la pena dovesse essere si certa, per educare al rispetto della legge e per tutelare la sicurezza della comunità, ma anche proporzionata all’entità del delitto e soprattutto immediata, affinché apparisse evidente il rapporto di causa ed effetto tra reato e pena e non si desse l’impressione che una pena comminata dopo tanto tempo assumesse la connotazione di uno spettacolo.
Chi, leggendo il pensiero di Beccaria, si limita a porre alla base di “ un moderno sistema penale, giudiziario e penitenziale “ che assicuri la giustizia e tuteli la sicurezza dei cittadini “, l’ effettività della pena e la rieducazione attraverso di essa del condannato, non coglie appieno lo spirito del pensiero di Beccaria il quale si preoccupava, è vero, che la pena fosse certa ma anche che fosse “ pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata ai delitti, dettata dalla legge “. Deve essere pubblica perché il giudice è “ protettore e ministro delle leggi “ e deve garantire che una pena non diventi un fatto privato e dunque una violenza del più forte nei confronti del più debole col rischio di tramutarsi in una forma di persecuzione. Deve essere pronta perché sia evidente la relazione di causa ed effetto tre reato e pena e se ne colga l’efficacia. Anche perché una pena ritardata finisce per essere una pena ingiusta inflitta ad un uomo che, dopo un processo che in Italia può durare anche decenni, non è più lo stesso uomo e ha patito un supplemento di pena connessa all’angoscia procurata da un’attesa così lunga.
Deve essere necessaria e proporzionata ai delitti. Qui Beccaria opera una distinzione, fondamentale in diritto, tra reato e peccato, affermando che “ l’unica vera misura dei delitti è il danno fatto alla nazione, e però errano coloro che credettero vera misura dei delitti l’intenzione di chi li commette “. Il reato proprio perché si traduce in un danno per la società va punito dallo Stato, mentre il peccato va confinato in un ambito puramente privato e di esso l’uomo deve rispondere alla propria coscienza e a Dio. Beccaria si esprime esattamente così : “ Se ha stabilito pene eterne a chi disobbedisce alla sua onnipotenza, qual sarà l’insetto che oserà supplire alla divina giustizia, che vorrà vendicare l’Essere che basta a se stesso, che non può ricevere dagli oggetti impressione alcuna di piacere o di dolore, e che solo tra tutti gli esseri agisce senza reazione? “. E ancora: “ La gravezza del peccato dipende dalla imperscrutabile malizia del cuore. Questa da essere finiti non può senza rivelazione sapersi. Come dunque da questa si prenderà norma per punire i delitti? Potrebbono in questo caso gli uomini punire quanto Iddio perdona, e perdonare quanto Iddio punisce? “. Nonostante Beccaria pare proprio di si, vista la confusione che oggi viene fatta tra peccato e reato, tra giustizia e virtù con vere e proprie invasioni di campo nel regno del privato che pur non “ procurando danno alla nazione “, è portato sul banco degli imputati e offerto alla gogna pubblica. E vista la disinvoltura con cui vengono confezionate nuove figure di reato allorché l’appartenenza ad un contesto di valori eticamente censurabili ma che non hanno fatto in tempo a tradursi in atti penalmente rilevanti, è considerata reato e come tale perseguita.
A che cosa si riferisce Beccaria a proposito di reato lo si evince quando egli parla del ”processo informativo” dove il misfatto deve essere individuato senza alcun dubbio, l’indagato deve essere ritenuto colpevole del delitto ascrittogli attraverso una raccolta obiettiva e indifferente delle prove, la pena deve essere certa ma irrorata nella giusta misura e nel giusto modo, non come avviene purtroppo spesso in Italia dove essa è ritenuta certa anche quando è incerta la colpa, dove all’imputato viene fatta pagare, oltre alla colpa del reato, la colpa del suo modo d’ essere per il solo torto d’essere, l’intenzione piuttosto che l’azione, una maggiore pena rispetto al dovuto come nel caso di chi subisce anni di carcere preventivo in conto a sentenze che possono essere anche di assoluzione o nel caso di chi è costretto ad attendere in carcere che si realizzi lo status di definitivo per poter godere dei benefici di legge. O come avviene quando il compito attribuito da Beccaria alla pena di educare il condannato a rispettare la legge è vanificato da una carcerazione vendicativa in cui si perde il valore di riferimento di uno Stato credibile e maturano le condizioni perché il detenuto sia indotto a perseverare nella sua vocazione a delinquere anziché educato a rispettare la legge. E infine come avviene quando uomini costretti a vivere venti ore su ventiquattro tra le mura di una cella senza poter contare su strutture culturali, sociali e ludiche alternative alla inflessibile monotonia di giornate sempre uguali, maturano e mettono in atto propositi suicidi.
Chi parla di giustizia e in nome di essa invoca un inasprimento della pena e la rieducazione del condannato che le nostre strutture carcerarie non sono in grado di garantire, sappia di che cosa parla e non scambi giustizialismo per giustizia.
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