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sabato 10 luglio 2010

La giornata del silenzio

La giornata di sciopero indetta dalla Fnsi contro il ddl sulle intercettazioni, suggerisce alcune riflessioni a proposito della coerenza del giornalismo in Italia. Come prima cosa crediamo si possa dire che esso è autoassolutorio e incline al vittimismo. Perché parlare di bavaglio al diritto di dare informazioni da parte della stampa e di riceverle da parte del cittadino quando esercitare questo diritto significa mettere alla gogna incolpevoli protagonisti delle intercettazioni? E’ un diritto questo o la pretesa di chi non vuole sentire ragioni se non quella di cavalcare la prurigine di una opinione pubblica che si eccita guardando dal buco della serratura, spacciata per sacrosanto diritto a far conoscere la verità? Ed è così sacrosanto il diritto della stampa a far conoscere la verità precaria e non provata di chi grida per primo e più forte al lupo al lupo, facendosi megafono o, come qualcuno ha scritto, buca da lettere delle veline di chi accusa perché bisogna pur campare e, come dice Ostellino, “più sangue scorre, più copie si vendono”? E’questo un diritto sacrosanto o non piuttosto un più prosaico cinismo esercitato senza tanti scrupoli per portare a casa la pagnotta?
Ma, si obietta, non si possono attendere i tempi biblici necessari alla conclusione delle indagini e all’approdo in tribunale per fornire le notizie al pubblico. Ora, a parte il fatto che il ddl in itinere non vieta di dare notizia del reato bensì di rivelare i dettagli coperti da segreto istruttorio come accade nella maggior parte dei paesi europei, il bavaglio è posto dalla legge o dai tempi lunghi e bisogna necessariamente sputtanare un presunto innocente perché la fregola dello scoop non tollera tempi lunghi? E perché l’indignazione della stampa per non essere messa nelle condizioni di dare le notizie in tempo reale non si orienta contro la vergogna di questi tempi lunghi che danneggiano persone presuntivamente innocenti sicuramente molto di più di quanto non danneggino la stampa? Il famoso imperativo che assegna alla stampa la funzione di controllo sui poteri forti dove è andato a finire? Forse nel mattatoio dei diritti negati dove si macellano i poteri deboli? O forse nel mercimonio di un giornalismo giudiziario d’assalto impietoso e non sempre limpido che non ha tanti riguardi per la vita della gente?
In altri tempi la stampa parlava con la voce dei Terzani, delle Fallaci, dei Montanelli e ancora oggi con quelle degli Ostellino, dei Battista, dei Panza e riusciva ad esprimersi anche attraverso il suo sindacato con comunicati che denunciavano “il barbaro rito sacrificale che inonda quotidiani e settimanali di mostri a volte incolpevoli e di emozioni spesso soltanto esagitate e che si celebra dentro quello sfrenato e perverso mercato degli scoop e delle rivelazioni incontrollate.” Oggi le voci della moderazione sono zittite da chi sostiene che il “silenzio nella giornata dello sciopero in realtà serve a parlare” o da Roberto Saviano che in piazza Navona ha proclamato:”La privacy di quelli che vogliono il decreto sulle intercettazioni difende la libertà del malaffare”.
Saviano conduce una meritoria battaglia contro la criminalità organizzata di fronte alla quale bisogna inchinarsi e anche sui suoi meriti artistici pare non ci siano dubbi, ma in materia di diritti ci sentiamo di invitarlo a non prendersi troppo sul serio e ad essere più sobrio.

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