Cogliamo dalla lettura dei giornali fior da fiore:
-Berlusconi: “ Contro di me una vergognosa montatura”;
-Alfano inaspettatamente, dopo schermaglie al veleno con i magistrati, ne prende le difese contro le accuse di coinvolgimento nella vicenda della P3. “Niente caccia alle streghe “, tuona da Bruxelles;
-Il Tar del Piemonte ha emesso la sentenza con cui dispone il riconteggio delle schede per verificare che non ci siano state delle irregolarità, apriti cielo, Cota grida al complotto: “Qualcuno lavora contro la mia vittoria”.
La cronaca ci consegna un elenco di vittime di alto lignaggio e ci mette in guardia da un Paese che si esercita nel gioco al massacro di tante anime belle immuni da colpe e ingiustamente perseguitate!
Ed oltre alle iniziative giudiziarie messe in atto per colpire dei galantuomini per chissà quali inconfessabili obiettivi, si osa insinuare che nelle varie istituzioni si perpetrano sprechi, ci si abbandona a faraoniche spese di rappresentanza, che, tanto per dire, il comune di Valguarnera Caropepe possiede una sua sede di rappresentanza a Dubaj, che, sempre a Dubaj, mandiamo esperti di monnezza da Palermo per insegnare come fare a smaltirla perché, si sa, Palermo è la capitale della monnezza, che certi scambi nelle stanze dei palazzi romani con cui si consegnano le chiavi del potere ai soliti noti avvengono con la stessa disinvolta oscenità degli scambisti del sesso, che le prebende per gli incarichi che contano sono assegnate nel club esclusivo dei grand commis, sempre gli stessi come nel gioco delle tre carte. Antonio Puri Purini, in un recente articolo sul Corriere, si lamenta che “le arroganti vetture della politica romana sarebbero inconcepibili a Berlino”. E ci credo, vuoi mettere la spartana rozzezza dei rudi vichinghi con l’ eleganza dei raffinati romani? E poi, andiamo, un po’ di comprensione per le giuste aspirazioni degli arrembanti arrampicatori che si imbattono nelle opulenti contrade romane portandosi appresso appetiti ancestrali, bisogna pur capirli e non essere così severi come Purini. E, tanto per non cambiare, ci si mette anche quel solito bastian contrario di Ostellino il quale, sempre sul Corriere, snocciola impietosamente i dati relativi ai costi in euro, per abitante, del personale delle nostre Rregioni.Sicilia: 349, Molise: 187, Lazio: 53 e via sperperando. Ma in definitiva, di che cosa si lamenta Ostellino, lui, mica vive in Italia!
Un vero e proprio stillicidio contro la beneamata classe politica ovvero, come dice Alfano, una vera e propria caccia alle streghe cui fa da controcanto la solita solfa sulla lunghezza dei processi, sulle stragi su cui non si fa luce, sull’aereo caduto a Ustica perché hanno ceduto le strutture ( sic ! ), sul sovraffollamento nelle carceri (potete immaginare che allegria con i 40 gradi di questi giorni), sui suicidi in carcere, sui pensionati che con 500 euro al mese arrivano si e no alla terza settimana, sui licenziamenti che ormai hanno la cadenza di un bollettino di guerra, sui giovani che non capiscono più chi cazzo sono e si abbandonano a omicidi alla ricerca della loro perduta d’identità, sulla inefficienza delle infrastrutture, sulla mancanza di futuro dei bamboccioni, sul nulla che ci affligge. Ma che volete che sia, questo riguarda la gente comune e lamentarsene è di pessimo gusto, mentre ben altri drammi lambiscono i potenti nei confronti dei quali i soliti rompiscatole si accaniscono ad avanzare sospetti senza alcun riguardo per la loro impunità, senza alcuna preoccupazione che dalla loro serenità turbata possano discendere gravi conseguenze per il Paese che guidano.
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venerdì 23 luglio 2010
Le “tricoteuses”
Come era da temere, il diciottesimo anniversario della strage di via D’Amelio ha acceso gli appetiti dei soliti professionisti del giacobinismo urlato che hanno fatto a gara nell’esibire intransigenza e toni lontani anni luce dallo stile dell’uomo sobrio che fu Paolo Borsellino.
Veti, intimazioni diretti a delimitare il territorio del consentito e del moralmente lecito sono stati impartiti da chi si è arrogato il diritto di stabilire cerimoniali nel nome di un uomo che aveva nei suoi tratti essenziali un sano laicismo e un distaccato scetticismo per le verità assolute che non fossero la sua fede religiosa e nei valori dello Stato. Non dava nulla per scontato verificando tutto con scrupolo e mai si sarebbe avventurato in liquidatorie verità precostituite, coltivava una garbata ironia, fino a quando non gli fu spenta dalla morte di Falcone, che gli faceva affrontare ogni cosa senza la furiosa cecità dei sacerdoti della verità. Quelli che oggi strumentalizzano il suo nome per conquistare un poco della sua luce riflessa e issarsi su gli scudi di una notorietà che altrimenti non avrebbero conosciuto, sono corvi appollaiati sulle sue spoglie che ne tradiscono la memoria.. Sentire uomini e donne che mai lui avrebbe preso in considerazione pontificare nel suo nome, vedere giovani, guidati su sentieri che mai lui avrebbe indicato, che urlano incitando all’odio e all’intransigenza, fa percepire quanto sia stato distorto il messaggio che il suo esempio di vita ci ha lasciato, assistere ai diktat e ai processi in piazza allestiti da certi personaggi, evoca le tricoteuses che facevano pollice verso sedute ai piedi della ghigliottina all’epoca della rivoluzione francese. I nostri uomini politici non brillano per essere di schiena diritta ma mai ci saremmo aspettati di assistere allo spettacolo penoso di alcuni di essi che si sono piegati alle liste di proscrizione imposte dagli organizzatori della manifestazione e hanno preso le distanze dagli appestati esposti al linciaggio della piazza. Uno spettacolo che non ha nulla da spartire con la compostezza del personaggio che si pretende di onorare, una compostezza che invece traspare dalle sole persone che hanno confermato il loro diritto a rappresentare Paolo Borsellino, sua moglie e i suoi figli.
Veti, intimazioni diretti a delimitare il territorio del consentito e del moralmente lecito sono stati impartiti da chi si è arrogato il diritto di stabilire cerimoniali nel nome di un uomo che aveva nei suoi tratti essenziali un sano laicismo e un distaccato scetticismo per le verità assolute che non fossero la sua fede religiosa e nei valori dello Stato. Non dava nulla per scontato verificando tutto con scrupolo e mai si sarebbe avventurato in liquidatorie verità precostituite, coltivava una garbata ironia, fino a quando non gli fu spenta dalla morte di Falcone, che gli faceva affrontare ogni cosa senza la furiosa cecità dei sacerdoti della verità. Quelli che oggi strumentalizzano il suo nome per conquistare un poco della sua luce riflessa e issarsi su gli scudi di una notorietà che altrimenti non avrebbero conosciuto, sono corvi appollaiati sulle sue spoglie che ne tradiscono la memoria.. Sentire uomini e donne che mai lui avrebbe preso in considerazione pontificare nel suo nome, vedere giovani, guidati su sentieri che mai lui avrebbe indicato, che urlano incitando all’odio e all’intransigenza, fa percepire quanto sia stato distorto il messaggio che il suo esempio di vita ci ha lasciato, assistere ai diktat e ai processi in piazza allestiti da certi personaggi, evoca le tricoteuses che facevano pollice verso sedute ai piedi della ghigliottina all’epoca della rivoluzione francese. I nostri uomini politici non brillano per essere di schiena diritta ma mai ci saremmo aspettati di assistere allo spettacolo penoso di alcuni di essi che si sono piegati alle liste di proscrizione imposte dagli organizzatori della manifestazione e hanno preso le distanze dagli appestati esposti al linciaggio della piazza. Uno spettacolo che non ha nulla da spartire con la compostezza del personaggio che si pretende di onorare, una compostezza che invece traspare dalle sole persone che hanno confermato il loro diritto a rappresentare Paolo Borsellino, sua moglie e i suoi figli.
sabato 10 luglio 2010
La giornata del silenzio
La giornata di sciopero indetta dalla Fnsi contro il ddl sulle intercettazioni, suggerisce alcune riflessioni a proposito della coerenza del giornalismo in Italia. Come prima cosa crediamo si possa dire che esso è autoassolutorio e incline al vittimismo. Perché parlare di bavaglio al diritto di dare informazioni da parte della stampa e di riceverle da parte del cittadino quando esercitare questo diritto significa mettere alla gogna incolpevoli protagonisti delle intercettazioni? E’ un diritto questo o la pretesa di chi non vuole sentire ragioni se non quella di cavalcare la prurigine di una opinione pubblica che si eccita guardando dal buco della serratura, spacciata per sacrosanto diritto a far conoscere la verità? Ed è così sacrosanto il diritto della stampa a far conoscere la verità precaria e non provata di chi grida per primo e più forte al lupo al lupo, facendosi megafono o, come qualcuno ha scritto, buca da lettere delle veline di chi accusa perché bisogna pur campare e, come dice Ostellino, “più sangue scorre, più copie si vendono”? E’questo un diritto sacrosanto o non piuttosto un più prosaico cinismo esercitato senza tanti scrupoli per portare a casa la pagnotta?
Ma, si obietta, non si possono attendere i tempi biblici necessari alla conclusione delle indagini e all’approdo in tribunale per fornire le notizie al pubblico. Ora, a parte il fatto che il ddl in itinere non vieta di dare notizia del reato bensì di rivelare i dettagli coperti da segreto istruttorio come accade nella maggior parte dei paesi europei, il bavaglio è posto dalla legge o dai tempi lunghi e bisogna necessariamente sputtanare un presunto innocente perché la fregola dello scoop non tollera tempi lunghi? E perché l’indignazione della stampa per non essere messa nelle condizioni di dare le notizie in tempo reale non si orienta contro la vergogna di questi tempi lunghi che danneggiano persone presuntivamente innocenti sicuramente molto di più di quanto non danneggino la stampa? Il famoso imperativo che assegna alla stampa la funzione di controllo sui poteri forti dove è andato a finire? Forse nel mattatoio dei diritti negati dove si macellano i poteri deboli? O forse nel mercimonio di un giornalismo giudiziario d’assalto impietoso e non sempre limpido che non ha tanti riguardi per la vita della gente?
In altri tempi la stampa parlava con la voce dei Terzani, delle Fallaci, dei Montanelli e ancora oggi con quelle degli Ostellino, dei Battista, dei Panza e riusciva ad esprimersi anche attraverso il suo sindacato con comunicati che denunciavano “il barbaro rito sacrificale che inonda quotidiani e settimanali di mostri a volte incolpevoli e di emozioni spesso soltanto esagitate e che si celebra dentro quello sfrenato e perverso mercato degli scoop e delle rivelazioni incontrollate.” Oggi le voci della moderazione sono zittite da chi sostiene che il “silenzio nella giornata dello sciopero in realtà serve a parlare” o da Roberto Saviano che in piazza Navona ha proclamato:”La privacy di quelli che vogliono il decreto sulle intercettazioni difende la libertà del malaffare”.
Saviano conduce una meritoria battaglia contro la criminalità organizzata di fronte alla quale bisogna inchinarsi e anche sui suoi meriti artistici pare non ci siano dubbi, ma in materia di diritti ci sentiamo di invitarlo a non prendersi troppo sul serio e ad essere più sobrio.
Ma, si obietta, non si possono attendere i tempi biblici necessari alla conclusione delle indagini e all’approdo in tribunale per fornire le notizie al pubblico. Ora, a parte il fatto che il ddl in itinere non vieta di dare notizia del reato bensì di rivelare i dettagli coperti da segreto istruttorio come accade nella maggior parte dei paesi europei, il bavaglio è posto dalla legge o dai tempi lunghi e bisogna necessariamente sputtanare un presunto innocente perché la fregola dello scoop non tollera tempi lunghi? E perché l’indignazione della stampa per non essere messa nelle condizioni di dare le notizie in tempo reale non si orienta contro la vergogna di questi tempi lunghi che danneggiano persone presuntivamente innocenti sicuramente molto di più di quanto non danneggino la stampa? Il famoso imperativo che assegna alla stampa la funzione di controllo sui poteri forti dove è andato a finire? Forse nel mattatoio dei diritti negati dove si macellano i poteri deboli? O forse nel mercimonio di un giornalismo giudiziario d’assalto impietoso e non sempre limpido che non ha tanti riguardi per la vita della gente?
In altri tempi la stampa parlava con la voce dei Terzani, delle Fallaci, dei Montanelli e ancora oggi con quelle degli Ostellino, dei Battista, dei Panza e riusciva ad esprimersi anche attraverso il suo sindacato con comunicati che denunciavano “il barbaro rito sacrificale che inonda quotidiani e settimanali di mostri a volte incolpevoli e di emozioni spesso soltanto esagitate e che si celebra dentro quello sfrenato e perverso mercato degli scoop e delle rivelazioni incontrollate.” Oggi le voci della moderazione sono zittite da chi sostiene che il “silenzio nella giornata dello sciopero in realtà serve a parlare” o da Roberto Saviano che in piazza Navona ha proclamato:”La privacy di quelli che vogliono il decreto sulle intercettazioni difende la libertà del malaffare”.
Saviano conduce una meritoria battaglia contro la criminalità organizzata di fronte alla quale bisogna inchinarsi e anche sui suoi meriti artistici pare non ci siano dubbi, ma in materia di diritti ci sentiamo di invitarlo a non prendersi troppo sul serio e ad essere più sobrio.
martedì 6 luglio 2010
I furbetti del quartiere
Vogliamo raccontare la storia di un processo iniziato nel 1999, approdato solo nel 2007 alla sentenza di primo grado e giunto infine nel 2010 al grado d’appello dove sta arrancando stancamente di rinvio in rinvio. E’ la storia di un processo infinito come tanti che, come tanti, ha esposto l’imputato all’assalto di un’opinione pubblica avida che non gli ha fatto sconti e che l’ha giudicato, condannato, anzi giustiziato senza tanti riguardi per la sua presunzione d’innocenza. Per tutti egli è ormai un mafioso e per questa sua discutibile notorietà deve dire grazie a una stampa priva di dubbi che sin dall’inizio non ha esitato a scegliere il fronte sul quale schierarsi, che ha sposato la tesi colpevolista, che ha detto alla gente quello che la gente voleva sentirsi dire e ha creato un’icona mafiosa dandole nome e cognome perché, come dice Ostellino, “più sangue scorre, più copie si vendono”.
A questa vera e propria esecuzione sommaria bisogna aggiungere 6 anni di carcere preventivo, una polimiosite contratta in carcere per lo stress della detenzione in conto ad una sentenza che ancora deve essere emessa in via definitiva e che potrebbe anche essere di assoluzione.
Una gogna di 12 anni, 6 anni di carcere preventivo, una patologia causata dalla detenzione, che altro può accadere a quest’uomo? Gli può accadere di essere destinatario di misure di prevenzione e di un sequestro di beni, di ritornare in carcere se la sentenza definitiva sarà di condanna prima di poter fruire delle provvidenze premiali o di vedersi negato il risarcimento in caso di assoluzione perché è pur sempre in odore di mafia.
E’ un uomo ormai segnato o, come diciamo in Sicilia, “tinciutu”!
Altro destino quello del signor Massimo Ciancimino, complice e fortunato beneficiario del padre quando questi era mafioso e potente e condividerlo era redditizio, censore e fortunato beneficiario del padre adesso che questi è passato a miglior vita col marchio d’infamia e rinnegarlo è altrettanto redditizio, coccolato dalla borghesia salottiera, frequentatore di librerie à la page, di convegni sulla mafia, di testimonianze fianco a fianco con parenti di vittime della mafia, come dire, il diavolo e l’acqua santa, autore a quattro mani di un libro che non imbarazza il coautore, protetto dallo Stato con tanto di scorta che lo scarrozza in giro per l’Italia e presto per l’Europa.
A ciascuno il suo destino, perché c’è mafioso e mafioso, non tutti hanno un padre che è una miniera anche da morto e il signor Massimo Ciancimino, da oculato amministratore dell’eredità paterna, ha mostrato di capirlo.
A questa vera e propria esecuzione sommaria bisogna aggiungere 6 anni di carcere preventivo, una polimiosite contratta in carcere per lo stress della detenzione in conto ad una sentenza che ancora deve essere emessa in via definitiva e che potrebbe anche essere di assoluzione.
Una gogna di 12 anni, 6 anni di carcere preventivo, una patologia causata dalla detenzione, che altro può accadere a quest’uomo? Gli può accadere di essere destinatario di misure di prevenzione e di un sequestro di beni, di ritornare in carcere se la sentenza definitiva sarà di condanna prima di poter fruire delle provvidenze premiali o di vedersi negato il risarcimento in caso di assoluzione perché è pur sempre in odore di mafia.
E’ un uomo ormai segnato o, come diciamo in Sicilia, “tinciutu”!
Altro destino quello del signor Massimo Ciancimino, complice e fortunato beneficiario del padre quando questi era mafioso e potente e condividerlo era redditizio, censore e fortunato beneficiario del padre adesso che questi è passato a miglior vita col marchio d’infamia e rinnegarlo è altrettanto redditizio, coccolato dalla borghesia salottiera, frequentatore di librerie à la page, di convegni sulla mafia, di testimonianze fianco a fianco con parenti di vittime della mafia, come dire, il diavolo e l’acqua santa, autore a quattro mani di un libro che non imbarazza il coautore, protetto dallo Stato con tanto di scorta che lo scarrozza in giro per l’Italia e presto per l’Europa.
A ciascuno il suo destino, perché c’è mafioso e mafioso, non tutti hanno un padre che è una miniera anche da morto e il signor Massimo Ciancimino, da oculato amministratore dell’eredità paterna, ha mostrato di capirlo.
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