In Italia esiste una specie sconosciuta ai più, quella dei
reietti, gli ultimi della società bollati dalle loro colpe o dal pregiudizio e
relegati ai margini del consorzio civile. Di essi si occupano con particolare
impegno i benemeriti ideologi dell’intolleranza che da sempre conducono contro la
specie una vera e propria crociata lasciando sul terreno le vittime prescelte
dal loro dogmatismo etico. Privato di buona parte dei diritti fondamentali, ridotto
a paria della società, il reietto è una preda facile da addentare senza che alcuno
corra in sua difesa. Il ghiro coda di topo, la farfalla monarca, il lemure del
Madagascar possono contare sulla discesa in campo dei buoni contro il pericolo
della loro estinzione, i reietti no, essi
sono marchiati a fuoco senza possibilità di riscatto, sono carne marcia su
cui si avventano i giacobini con la bava
alla bocca che, seduti sul pulpito della loro superiorità morale, negano
qualsiasi chance a chi tenta di risalire la china di una deriva che l’ha visto
soccombente. Privi di dubbi i saccenti promotori dei comitati di salute
pubblica conducono la loro campagna di odio che non concede remissione alle
colpe, e costruiscono attorno agli indegni un cordone sanitario che eviti la contaminazione
del tessuto sano. E’ l’etica che insegue il successo e cavalca l’intransigenza
funzionale all’edificazione delle carriere dei sepolcri imbiancati impegnati ad
apparire, la stessa etica che tiene i vili alla larga dal rischio della
contaminazione. Vengono così eretti muri di indifferenza quando non di ostilità
che guardano con sospetto all’autenticità di un cammino di redenzione e ne
vanificano gli sforzi. I campioni dell’intransigenza e della superiorità morale
che, guarda caso, si identificano con larghi settori dell’establishment
culturale, fanno dell’intolleranza il loro credo e del cinismo lo strumento del
loro successo. A dispetto di essi può però
accadere che anche per i reietti la vita abbia in serbo una qualche forma di
risarcimento, è accaduto a me. Oggetto degli appetiti della stampa quando c’era
da banchettare con la mia vicenda giudiziaria, snobbato quando c’era da dare
testimonianza dei miei timidi tentativi di rinascita, respinto dal raccapriccio
della cosiddetta società civile, sono stato raggiunto dalla carezza di una straordinaria
signora impegnata non a declamare la vuota retorica di un moralismo livido che lascia
alle proprie spalle solo macerie, ma a costruire luoghi di speranza inseguendo
la propria vocazione, mettendo in campo la propria storia di donna baciata dal
successo per aiutare gli ultimi d’Africa, reietti anche loro, cui dona tutto
quello che può di sé, “una piccola goccia che contribuisce a fare l’oceano”,
come è solita affermare. Lei non è si fermata sulla soglia della mia indegnità
ma è andata oltre, si è fatta largo tra le pieghe di un animo in cui è
rischioso addentrarsi, come scrisse di me un noto editorialista, e tuttavia ha
deciso di fidarsi, ha deciso che non meritavo la gogna riservatami dalle tricoteuses
urlanti ai piedi del patibolo, ha creduto che meritassi la sua preziosa
amicizia e me ne ha fatto dono prendendomi per mano e accompagnandomi fuori dalle
mura del lager dove sono rimasto segregato per anni.
Nessun commento:
Posta un commento