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venerdì 6 ottobre 2017

Le misure afflittive


Il nuovo codice antimafia approvato recentemente in Parlamento estende le misure di prevenzione dai mafiosi ai corrotti. Le misure, per chi non lo sapesse, vengono comminate in presenza di un sospetto di condotta illecita senza l’obbligo da parte dello Stato di portare prove a sostegno del provvedimento.  Col nuovo codice lo stravolgimento di un principio del diritto che vuole l’onere della prova a carico di chi muove l’accusa, in passato imposto ai mafiosi, adesso viene inflitto indiscriminatamente a chiunque odori di corruttela. Un vulnus che finora  ha riguardato solo i figli di un dio minore e che non ha suscitato alcuna reazione di protesta, provoca allarme nel momento in cui alza l’asticella e investe indiscriminatamente l’intera società. Si è inaugurata una nuova stagione di caccia alle streghe e nel mirino sono finiti  tutti coloro che, ladri di polli o capitani d’industria, prosseneti o frequentatori dei piani alti della finanza, piccoli impiegati del catasto o grand commis, sono sfiorati dal sospetto che vadano all’assalto della morale comune secondo le categorie del GA (Grande Accusatore). Col nuovo editto bulgaro siamo affidati alle cure amorevoli di uno Stato al quale è impossibile farla in barba, che monitora ogni nostra azione e vigila contro l’arroganza di chi ha la faccia tosta di esigere il rispetto di uno straccio di coerenza giuridica. Ci lasciamo alle spalle il tempo del lassismo e andiamo festosamente incontro al tempo dell’efficienza poliziesca. Adesso non si può, come in passato, intraprendere una qualsiasi attività con la pretesa di farla franca, e ai buontemponi che rivendicano la liceità delle loro condotte, i moralisti replicano che qualsiasi attività non può dirsi lecita fino a quando non supera il test dell’illibatezza. Fino ad allora, fino a quando non hai assolto all’onere della prova, sei un malfattore potenziale da guardare con sospetto e perseguire con la severità dovuta agli impudenti sostenitori della libertà di fare i propri comodi senza incorrere nelle maglie della censura. E a chi protesta che fare impresa non significa fare i propri comodi, la risposta è pronta, fare impresa è un attentato alla pubblica moralità e alla sicurezza della società se non obbedisce a imprescindibili canoni etici, alla vulgata del politicamente corretto, alla crociata a favore dei miti sacralizzati dai sepolcri imbiancati. Da questo momento in poi gli spericolati avventurieri che hanno il vizietto di fare impresa sono avvertiti, debbono sapere che le categorie alle quali attenersi non sono la competenza e la lungimiranza, non l’oculatezza della gestione e il senso di responsabilità, non l’onestà e l’integrità ma l’obbedienza ad un simulacro di legalità formale che pretende di profumare d’incenso ma che in effetti ha l’afrore nauseabondo della demonizzazione ideologica. Debbono sapere che in caso contrario saranno costretti a fare i conti con gli scherani di Stato che vigilano contro l’assurda pretesa di chi rivendica diritti fondamentali e imbrigliano la volontà di libertà con le provvidenziali misure di prevenzione fondate sul nulla ammantato di legalitarismo. Siamo tutti avvertiti, da oggi in poi, chi vuole dormire sonni tranquilli si iscriva all’albo dei bacchettoni, si arruoli nell’esercito della salvezza dei pretoriani d’assalto alla cittadella del diritto, stringa un patto che li preservi dalle rappresaglie con chi ha il monopolio della giusta causa e viva serena la sua miserabile esistenza nella casa del Grande Fratello di orwelliana memoria.

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