L’onorevole Di Maio, indagato dalla procura di Genova per
diffamazione, ha reagito lamentandosi di sentirsi trattato come un mafioso.
Dunque il vice presidente della Camera, epigono di un mondo duro e puro che impicca
all’albero dell’intransigenza chiunque sia lambito da un sospetto di illiceità,
protesta di sentirsi vittima di ingiustizia, scomodando addirittura la mafia, quando
una indagine riguarda la sua persona. Ma
forse l’essere vice presidente della Camera
lo esime dall’essere soggetto alla legge come un comunissimo cittadino? Un
minimo di decenza dovrebbe sconsigliare squittii da verginella offesa
nell’onore, a chi, come l’onorevole Di Maio, rappresenta ai massimi livelli uno
Stato come il nostro. Uno Stato che ha permesso il massacro dei suoi figli
migliori avendo nel suo seno i mandanti di quelle stragi, che, a conclusione
delle indagini sulla strage di via D’Amelio, non ha saputo fare di meglio che
dare in pasto all’opinione pubblica 11 imputati condannandoli all’ergastolo grazie
a un depistaggio e facendoli marcire in carcere per 15 anni da innocenti, senza
che i responsabili di questo abominio abbiano pagato, che ha dovuto incassare
una lezione di civiltà giuridica ai suoi massimi livelli giurisdizionali dalla
Corte di Strasburgo sulla vicenda Contrada, senza avvertire alcun sussulto di
vergogna e anzi producendosi, attraverso i soliti officianti di un’antimafia
accecata dal livore, in cori di proteste contro quella che viene considerata
una sorta di lesa maestà, come vogliamo definirlo? E visto che ci siamo, come
vogliamo definire uno Stato che confina al di sotto della soglia della povertà un
numero sempre maggiore di suoi cittadini, non più in grado di soddisfare i più
elementari bisogni, vittime di una condizione di prostrazione psichica ancor
più che fisica, incapaci come sono di sopportare la nuova condizione di disagio
esistenziale nella quale sono precipitati? Come vogliamo definire uno Stato che
detiene il record europeo della povertà infantile e tollera che bambini innocenti vivano nel limbo di una condizione
senza futuro, che vanta il primato europeo dei giovani inattivi costretti ad
emigrare e così impoverire di risorse umane la nazione o, in alternativa, a
bivaccare in casa dei genitori in compagnia della loro frustrazione e con
l’incubo di restare in balia della loro precarietà quando gli ammortizzatori
familiari verranno a mancare? Come vogliamo definire uno Stato che contro una
deriva sempre più inarrestabile di miseria economica e morale, foraggia una
minoranza di privilegiati che imperversano dall’alto della loro spocchia
morale, intellettuale ed economica imponendo il politicamente corretto ad un
popolo di sprovveduti? Siamo alla mercé di personaggi senza scrupoli che
utilizzano lo Stato come comoda copertura per le loro malefatte e al cui
confronto persino i mafiosi impallidiscono. E allora dove è la differenza tra
un simile Stato e la mafia? Ce lo spieghi, dall’alto del suo scranno, il nostro
vice presidente della Camera, scandalizzato all’idea che possa essere trattato
come un mafioso.
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