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giovedì 20 luglio 2017

Luigi Di Maio


L’onorevole Di Maio, indagato dalla procura di Genova per diffamazione, ha reagito lamentandosi di sentirsi trattato come un mafioso. Dunque il vice presidente della Camera, epigono di un mondo duro e puro che impicca all’albero dell’intransigenza chiunque sia lambito da un sospetto di illiceità, protesta di sentirsi vittima di ingiustizia, scomodando addirittura la mafia, quando una indagine riguarda la sua persona.  Ma forse l’essere vice presidente della Camera  lo esime dall’essere soggetto alla legge come un comunissimo cittadino? Un minimo di decenza dovrebbe sconsigliare squittii da verginella offesa nell’onore, a chi, come l’onorevole Di Maio, rappresenta ai massimi livelli uno Stato come il nostro. Uno Stato che ha permesso il massacro dei suoi figli migliori avendo nel suo seno i mandanti di quelle stragi, che, a conclusione delle indagini sulla strage di via D’Amelio, non ha saputo fare di meglio che dare in pasto all’opinione pubblica 11 imputati condannandoli all’ergastolo grazie a un depistaggio e facendoli marcire in carcere per 15 anni da innocenti, senza che i responsabili di questo abominio abbiano pagato, che ha dovuto incassare una lezione di civiltà giuridica ai suoi massimi livelli giurisdizionali dalla Corte di Strasburgo sulla vicenda Contrada, senza avvertire alcun sussulto di vergogna e anzi producendosi, attraverso i soliti officianti di un’antimafia accecata dal livore, in cori di proteste contro quella che viene considerata una sorta di lesa maestà, come vogliamo definirlo? E visto che ci siamo, come vogliamo definire uno Stato che confina al di sotto della soglia della povertà un numero sempre maggiore di suoi cittadini, non più in grado di soddisfare i più elementari bisogni, vittime di una condizione di prostrazione psichica ancor più che fisica, incapaci come sono di sopportare la nuova condizione di disagio esistenziale nella quale sono precipitati? Come vogliamo definire uno Stato che detiene il record europeo della povertà infantile e tollera che bambini  innocenti vivano nel limbo di una condizione senza futuro, che vanta il primato europeo dei giovani inattivi costretti ad emigrare e così impoverire di risorse umane la nazione o, in alternativa, a bivaccare in casa dei genitori in compagnia della loro frustrazione e con l’incubo di restare in balia della loro precarietà quando gli ammortizzatori familiari verranno a mancare? Come vogliamo definire uno Stato che contro una deriva sempre più inarrestabile di miseria economica e morale, foraggia una minoranza di privilegiati che imperversano dall’alto della loro spocchia morale, intellettuale ed economica imponendo il politicamente corretto ad un popolo di sprovveduti? Siamo alla mercé di personaggi senza scrupoli che utilizzano lo Stato come comoda copertura per le loro malefatte e al cui confronto persino i mafiosi impallidiscono. E allora dove è la differenza tra un simile Stato e la mafia? Ce lo spieghi, dall’alto del suo scranno, il nostro vice presidente della Camera, scandalizzato all’idea che possa essere trattato come un mafioso.  

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