Benvenuti in Sicilia. Rivolgiamo il saluto di chi non ha
voce a chi leva la propria voce per combattere la difficile battaglia in difesa
del diritto e della pietà. In questi giorni è in giro per la Sicilia una
pattuglia di radicali impegnati a promuovere il dibattito sul 41 bis,
sull’ergastolo e sul ruolo della magistratura ed è dunque propizia l’occasione per
stringere in un abbraccio ideale queste donne e questi uomini coraggiosi che si oppongono all’intolleranza
ideologica a tutela dei diritti fondamentali. Gli indomiti Rita Bernardini, Sergio
D’Elia, Maurizio Turco, Antonio Cerrone,
Antonella Casu, Donatella Corleo, Gianmarco Ciccarelli, M.A. Coscioni,
Matteo Angioli, Elisabetta Zamparutti, sono
la speranza dei tanti che sono respinti dalla società ed emarginati con
disprezzo, ai quali è negata qualsiasi visibilità che non sia negativa, ai
quali è proibita la possibilità di accarezzare la carne dei propri cari per
decenni, sono la spalla su cui piangono i familiari condannati assieme ai detenuti
per una colpa che non hanno. Quanti schiumano di ammirazione per la
Costituzione e al contempo la rinnegano tollerando la tortura del 41 bis e
dell’ergastolo, consumano un falso proprio in spregio al dettato
costituzionale. E’ l’ipocrisia dei giacobini che, al riparo dei loro privilegi,
pontificano invocando il patibolo per gli altri senza alcun rischio di finirvi
a loro volta inciampando sui loro eccessi, come accadeva ai loro antenati. Persino
la Consulta e la Cassazione fanno strame del diritto allorché si rifugiano
nelle pronunce della Corte europea del diritti dell’uomo che ha ritenuto non
sia stata superata la soglia minima di gravità necessaria a considerare inumano
e degradante il trattamento in carcere, solo in relazione ai singoli episodi presi
in esame, e invece ignorano altrettante pronunce del Comitato per la prevenzione
della tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti (C.P.T.) che non
ha esitato, riferendosi alle condizioni generali nelle carceri italiane e al 41
bis in particolare, a sollevare pesanti rilievi. “In seguito a diverse visite nelle carceri
italiane, il CP.T. ha rilevato che i detenuti sottoposti a 41 bis sono
assoggettati per lunghi, talvolta lunghissimi periodi, ad un regime che per
molti aspetti si avvicina all’isolamento e che il sistema è tale da provocare
effetti dannosi concretatisi in alterazioni delle facoltà sociali e mentali
irreversibili. E ancora ha avanzato il sospetto
che tale regime sia stato introdotto per costituire uno strumento di
pressione psicologica per provocare la dissociazione o la collaborazione dei
detenuti e che esso vanifichi l’attuazione di un efficace programma
rieducativo. Da più parti, anche da parte di alcuni esponenti della
magistratura, si è lamentata la distorsione che si realizza con l’utilizzo
dell’ordinamento penitenziario per finalità di polizia preventiva, quali la
tutela di esigenze di ordine e di sicurezza pubblica del tutto estranei agli obiettivi dell’esecuzione penitenziaria”
( da La giurisprudenza della Corte Europea di Carmelo Minnella). E’ il
tentativo di barare a un gioco di bussolotti che ha come posta la vita di
esseri umani, è l’ossessione di chi ha assegnato a persone che hanno sbagliato
il destino di vite a perdere, da estirpare come un cancro della società. Contro
questa ossessione combattono donne e uomini onesti e a loro va tutta la nostra
riconoscenza.
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lunedì 31 luglio 2017
giovedì 20 luglio 2017
Luigi Di Maio
L’onorevole Di Maio, indagato dalla procura di Genova per
diffamazione, ha reagito lamentandosi di sentirsi trattato come un mafioso.
Dunque il vice presidente della Camera, epigono di un mondo duro e puro che impicca
all’albero dell’intransigenza chiunque sia lambito da un sospetto di illiceità,
protesta di sentirsi vittima di ingiustizia, scomodando addirittura la mafia, quando
una indagine riguarda la sua persona. Ma
forse l’essere vice presidente della Camera
lo esime dall’essere soggetto alla legge come un comunissimo cittadino? Un
minimo di decenza dovrebbe sconsigliare squittii da verginella offesa
nell’onore, a chi, come l’onorevole Di Maio, rappresenta ai massimi livelli uno
Stato come il nostro. Uno Stato che ha permesso il massacro dei suoi figli
migliori avendo nel suo seno i mandanti di quelle stragi, che, a conclusione
delle indagini sulla strage di via D’Amelio, non ha saputo fare di meglio che
dare in pasto all’opinione pubblica 11 imputati condannandoli all’ergastolo grazie
a un depistaggio e facendoli marcire in carcere per 15 anni da innocenti, senza
che i responsabili di questo abominio abbiano pagato, che ha dovuto incassare
una lezione di civiltà giuridica ai suoi massimi livelli giurisdizionali dalla
Corte di Strasburgo sulla vicenda Contrada, senza avvertire alcun sussulto di
vergogna e anzi producendosi, attraverso i soliti officianti di un’antimafia
accecata dal livore, in cori di proteste contro quella che viene considerata
una sorta di lesa maestà, come vogliamo definirlo? E visto che ci siamo, come
vogliamo definire uno Stato che confina al di sotto della soglia della povertà un
numero sempre maggiore di suoi cittadini, non più in grado di soddisfare i più
elementari bisogni, vittime di una condizione di prostrazione psichica ancor
più che fisica, incapaci come sono di sopportare la nuova condizione di disagio
esistenziale nella quale sono precipitati? Come vogliamo definire uno Stato che
detiene il record europeo della povertà infantile e tollera che bambini innocenti vivano nel limbo di una condizione
senza futuro, che vanta il primato europeo dei giovani inattivi costretti ad
emigrare e così impoverire di risorse umane la nazione o, in alternativa, a
bivaccare in casa dei genitori in compagnia della loro frustrazione e con
l’incubo di restare in balia della loro precarietà quando gli ammortizzatori
familiari verranno a mancare? Come vogliamo definire uno Stato che contro una
deriva sempre più inarrestabile di miseria economica e morale, foraggia una
minoranza di privilegiati che imperversano dall’alto della loro spocchia
morale, intellettuale ed economica imponendo il politicamente corretto ad un
popolo di sprovveduti? Siamo alla mercé di personaggi senza scrupoli che
utilizzano lo Stato come comoda copertura per le loro malefatte e al cui
confronto persino i mafiosi impallidiscono. E allora dove è la differenza tra
un simile Stato e la mafia? Ce lo spieghi, dall’alto del suo scranno, il nostro
vice presidente della Camera, scandalizzato all’idea che possa essere trattato
come un mafioso.
sabato 8 luglio 2017
Marcello Dell'Utri
L’appello lanciato da qualcuno che invita a trattare la
vicenda Dell’Utri dimenticando il nome e avendo considerazione solo per l’uomo,
contiene in sé i limiti di una proposta impraticabile. Una notizia di cronaca
balza con maggiore o minore evidenza al centro della ribalta proprio in virtù
del nome più o meno noto, e prescindere da esso è illusorio. Lo si vede proprio
con la vicenda Dell’Utri. Vicende drammatiche in carcere se ne consumano
parecchie in un silenzio assordante, quella di Dell’Utri al contrario è esplosa
proprio grazie ad una notorietà che la pone al centro del dibattito e la
privilegia. Perché Salvatore Meloni è stato fatto morire in carcere dopo 66 giorni
di sciopero della fame e un mio compagno di detenzione con entrambe le gambe
amputate continua ad arrancare su una
sedia a rotelle in carcere (non ne ho più notizie, non so se intanto è morto), perché
un altro mio compagno consumato dall’aids ha dovuto subire l’insulto del
carcere fino all’ultimo giorno della sua vita trascinando a fatica i poveri resti
del suo povero corpo, senza che si sia levata una sola voce in loro difesa? E perché
invece gli appelli a favore di Dell’Utri si sprecano col risultato che gli è
stata concessa l’anticipazione da settembre a luglio della data dell’udienza in
cui si deciderà sulla sospensione della sua pena per motivi di salute? Sia
chiaro che la notizia non può che rallegrarci, chi ha vissuto l’esperienza del
carcere non può che essere solidale con gli sventurati compagni di pena, ma ciò
non toglie che la decisione che anticipa la data dell’udienza, nel momento
stesso in cui procura una sensazione di sollievo, ha un sapore amaro. Perché a
Dell’Utri si e agli altri no? Semplice, perché poniamo al centro del dibattito
non un principio di civiltà giuridica che stabilisca un valore universale ma il
nome cui assegniamo il riconoscimento dei diritti in rapporto al suo spessore. E’
così che funziona fino a quando non ci doteremo di una giustizia migliore che
valga per tutti e continuerà a fare notizia solo l’ingiustizia di una
detenzione incompatibile con il carcere quando essa riguarda la sorte del
Dell’Utri di turno.
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