Siamo impegnati a strapparci le vesti piangendo la sorte di
un clochard bruciato vivo e ci interroghiamo con tardiva angoscia come sia
potuta accadere una simile tragedia. Tanta ferocia risulta incomprensibile a
chi non ha dovuto fare i conti con la spietatezza della vita riservata agli
ultimi. Pare che vittima e carnefice appartenessero allo stesso contesto di
emarginazione e riesce difficile pronunciare un giudizio che non abbia pietà
anche per il carnefice. Caino ha il volto inespressivo di chi non sembra
rendersi conto dell’enormità del suo gesto, ha la connotazione di chi non è
attraversato da nessun sussulto etico, è un uomo non uomo che sembra non avere
mai coltivato la consapevolezza di certi valori, un relitto né più né meno
della sua vittima. Vittima e carnefice sono i frutti infelici di una società
che ha permesso il verificarsi di una tragedia senza disinnescarla prima che
deflagrasse. Quando ci strappiamo le vesti e recitiamo la pantomina
dell’indignazione di circostanza, rimuoviamo le nostre colpe, dimentichiamo l’indifferenza
con cui ignoriamo i mali del mondo, facciamo finta di non sapere, o forse non
lo sappiamo in buona fede perché abbiamo perduto la capacità di percepire il
disagio altrui, che noi siamo i veri artefici delle tragedie che si consumano
quotidianamente tra le pieghe della nostra società mentre ci giriamo dall’altra
parte. In parecchi si sono proposti per fare giustizia sommaria dell’assassino.
Dov’erano costoro mentre maturava la tragedia e saranno ancora così inflessibili
quando qualcuno, alzando l’asticella dell’intransigenza, farà giustizia
sommaria dei loro diritti?
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martedì 14 marzo 2017
mercoledì 8 marzo 2017
Il libero arbitrio
Le sacre scritture ci dicono che il destino dell’uomo è
segnato fin dall’origine, fin da quando egli ha disobbedito a Dio, è stato cacciato
dal paradiso terrestre accompagnato da un terribile anatema e ha iniziato il
suo cammino infame macchiandosi di un fratricidio. L’uomo creato da Dio dunque
parrebbe la testimonianza di una sorte irrimediabilmente segnata dal male. Sulla
natura e sull’origine del male si sono interrogati tanti pensatori e
Sant’Agostino fra essi ci ha spiegato che l’uomo indirizza il proprio libero
arbitrio vero il bene o verso il male a seconda che possieda o no la grazia che
è una concessione divina e non può essere conquistata con le opere. Secondo il
santo d’Ippona dunque l’uomo è un predestinato alla salvezza o alla dannazione
in virtù del suo destino più che delle sue condotte e della sua volontà che è
una volontà predeterminata. E’ difficile essere d’accordo con Agostino
considerando che Gesù è venuto a dirci il contrario fornendoci un esempio di vita la cui condotta ha fatto la differenza giungendo
fino alle estreme conseguenze. La sua sofferenza e il suo sacrificio sono state
le opere che hanno indicato all’uomo la via per riscattarsi dalla sua natura
malvagia. L’uomo nuovo in possesso del libero arbitrio e capace di imprimere ad
esso un indirizzo di salvezza con lo strumento delle opere, è il protagonista
del testamento di speranza lasciatoci da Gesù. Dopo di lui l’uomo sa che, se
vuole, sul suo esempio, può perseguire il bene, e questo messaggio,
perpetuatosi nei secoli, ha incrociato lungo il suo percorso un altro messaggio
rivoluzionario, quello dei lumi. Da questo incontro, pur da sponde opposte, dalle
sponde del dogmatismo religioso e della laicissima ragione, è nata una sintesi
che ha reso il sacro meno intransigente e la ragione una ragione d’amore che ha
ribadito la dignità dell’uomo e la centralità dell’individuo. Il dolore dell’uomo
ha continuato a scandire giornate di lutto per lo spirito e il fisico, la
sofferenza continua a perpetuarsi offrendoci lo spettacolo di vite disseminate
ai margini delle strade come scarti della società, di stracci privi di
valore racchiusi nelle carceri senza
speranza di un loro riscatto, dell’olocausto di Aleppo, dei migranti strappati
alle loro case, della solitudine degli anziani, di una povertà economica sempre
più diffusa e con essa di un arretramento della dignità, degli ammalati di Sla
ridotti a vegetali sofferenti, ma una ragione nuova è nata e si batte con le
armi della pietà e della buona causa. Il viaggio nella sofferenza è anche un
viaggio dello spirito che nessuna sofferenza dovrà mai spegnere. Qualcuno ha
detto che, credenti o non credenti, non possiamo non dirci cristiani e proprio
la misericordia del cristianesimo, oltre alle ragioni della ragione, fornisce
una nuova chiave di lettura del nostro approccio con il destino, una lettura che
rivoluziona l’ideologia intransigente della sacralità della vita. In verità sacro
è l’uomo che deve poter vivere una condizione dignitosa, deve poter contemplare
le stelle nella pienezza del suo spirito. Quando la sorte ci aggredisce con un
male terribile come la Sla, quando la vita diventa intollerabile, quando la
sofferenza rischia di spegnere lo spirito oltre al fisico, non abbiamo forse il
diritto di consegnare il nostro spirito ancora integro alla trascendenza? Lo
stesso Gesù non va incontro alla morte considerandola il corollario del Suo
progetto? Un alto prelato sostiene che l’eutanasia o il suicidio assistito
nascondono un messaggio deleterio, un messaggio secondo cui la società trova
comodo liberarsi delle vite non degne di essere vissute omettendo di sostenerle
e scaricandole in una “sacca di scarto”. Non credo che la società sia talmente
cinica da omettere il sacrosanto impegno di sostenere vite umane, ma nessuno
può pretendere che essa si arroghi il diritto di impadronirsi di vite che
appartengono solo a coloro che le hanno ricevute in dono e devono poterne
disporre come ritengono, rifiutandosi di relegare lo “scarto” che di quelle
vite è rimasto in una “sacca” di inutile sofferenza. Spesso andiamo incontro
alla morte per motivi banali, a maggior ragione vale la pena di andare incontro
ad essa quando i motivi sono degni.
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