La parola evoca la nascita di un
Profeta che duemila anni pagò un tributo terribile al suo amore per
l’uomo e ci lasciò in eredità la sua sofferenza. Col Natale
celebriamo un messaggio di speranza misurandoci al contempo con il
male che ci accompagna nelle sue forme più crudeli. La sofferenza
del Nazareno infatti si perpetua offrendoci lo spettacolo di vite
disseminate nei marciapiedi delle nostre città o racchiuse nelle
carceri senza speranza di redenzione, come fossero scarti della
società, dell’olocausto di Aleppo, delle carneficine di innocenti
immolati sull’altare del fanatismo, dei migranti strappati alle
loro case, dei nostri figli sradicati dai loro affetti e costretti a
cercare altrove opportunità di lavoro, della solitudine degli
anziani, di una povertà economica sempre più diffusa che si traduce
in povertà dello spirito, dei sepolcri imbiancati che vediamo
sfilare impettiti e impudichi mentre accarezzano le guance innocenti
delle loro vittime, degli arroganti detentori delle nostre vite che
esibiscono il loro potere imponendoci l’ordalia di una casta che
risponde solo a se stessa, della inadeguatezza dei nostri governanti
che hanno pregiudicato il nostro futuro e continuano a imperversare
imperterriti, della rassegnazione di un popolo che sembra condannato
alla irredimibilità. Andiamo per le strade e annusiamo l’odore
nauseante del nostro disfacimento e tuttavia festeggiamo il Natale
perché ci sentiamo eredi di un messaggio che, perpetuatosi grazie
alla Chiesa di Cristo, ha edificato la nostra dignità durante i
secoli ed è giunto fino a noi per essere ripreso e tradotto nella
eredità dei lumi. Se oggi esiste una enclave di civiltà che guarda
ai diritti fondamentali dell’uomo e combatte l’oscurantismo dello
spirito con le ragioni della pietà e della buona causa, ciò si deve
a quel messaggio. Il viaggio nella sofferenza è anche un viaggio
dello spirito che nessuna sofferenza potrà mai cancellare. Buon
Natale.
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