La parola evoca la nascita di un
Profeta che duemila anni pagò un tributo terribile al suo amore per
l’uomo e ci lasciò in eredità la sua sofferenza. Col Natale
celebriamo un messaggio di speranza misurandoci al contempo con il
male che ci accompagna nelle sue forme più crudeli. La sofferenza
del Nazareno infatti si perpetua offrendoci lo spettacolo di vite
disseminate nei marciapiedi delle nostre città o racchiuse nelle
carceri senza speranza di redenzione, come fossero scarti della
società, dell’olocausto di Aleppo, delle carneficine di innocenti
immolati sull’altare del fanatismo, dei migranti strappati alle
loro case, dei nostri figli sradicati dai loro affetti e costretti a
cercare altrove opportunità di lavoro, della solitudine degli
anziani, di una povertà economica sempre più diffusa che si traduce
in povertà dello spirito, dei sepolcri imbiancati che vediamo
sfilare impettiti e impudichi mentre accarezzano le guance innocenti
delle loro vittime, degli arroganti detentori delle nostre vite che
esibiscono il loro potere imponendoci l’ordalia di una casta che
risponde solo a se stessa, della inadeguatezza dei nostri governanti
che hanno pregiudicato il nostro futuro e continuano a imperversare
imperterriti, della rassegnazione di un popolo che sembra condannato
alla irredimibilità. Andiamo per le strade e annusiamo l’odore
nauseante del nostro disfacimento e tuttavia festeggiamo il Natale
perché ci sentiamo eredi di un messaggio che, perpetuatosi grazie
alla Chiesa di Cristo, ha edificato la nostra dignità durante i
secoli ed è giunto fino a noi per essere ripreso e tradotto nella
eredità dei lumi. Se oggi esiste una enclave di civiltà che guarda
ai diritti fondamentali dell’uomo e combatte l’oscurantismo dello
spirito con le ragioni della pietà e della buona causa, ciò si deve
a quel messaggio. Il viaggio nella sofferenza è anche un viaggio
dello spirito che nessuna sofferenza potrà mai cancellare. Buon
Natale.
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sabato 24 dicembre 2016
giovedì 1 dicembre 2016
Gli eccessi verbali
Ha ragione Dacia Maraini quando,
commentando l’infelice sortita del governatore De Luca contro l’on.
Bindi, denuncia gli eccessi verbali contro le donne, ha torto quando
individua nelle sole donne le vittime di questi eccessi. Purtroppo
l’aggressione verbale è un costume diffuso che prende di mira
indiscriminatamente e proviene da ogni parte, (basta navigare in rete
per imbattersi in invettive di tutti contro tutti), anche da parte
della donna che, messasi in gioco, si è vista costretta a sporcarsi
i calzari. Come sostiene Cazzullo, essa “erediterà la terra” ma
in acconto alla terra promessa ha già ricevuto in eredità il
rancore di chi si è sentito scippato e le ha presentato il conto
facendola oggetto di violenze fisiche e morali, e continuerà anche
in futuro a non perdonarle la sfida da lei portata. La donna che si
mette in gioco si vede costretta a rispondere colpo su colpo,
scendendo su un terreno in cui l’intolleranza è una compagna
insidiosa e nel quale deve sapersi muovere con intelligenza, non
cedendo di un millimetro sulla difesa della propria dignità ma al
contempo affrontando col giusto atteggiamento i timori che suscita la
sua discesa in campo, indagando tra le pieghe di un disagio che
nell’uomo nasce dalla scoperta di una fragilità e di un declino
che lo spaventano, senza indulgenze per la brutalità che spesso ne
deriva ma senza spicciative demonizzazioni che liquidano
sprezzantemente sempre e comunque il maschio. Nel clima avvelenato
che vede al centro il dibattito sul ruolo della donna, non è dunque
facile tenere a freno l’intolleranza. L’uscita del governatore
della Campania, “un infame da uccidere”, è una imprecazione più
che una incitazione ad uccidere, peraltro proferita “fuori onda”,
ma ciò non toglie che essa è la spia di una inaccettabile
beceraggine intellettuale ed è pericolosa perché, al di là delle
intenzioni dell’autore, può innescare dissennate reazioni nel
momento in cui raggiunge menti fragili. L’ignobile mattanza delle
donne non è forse frutto dell’insensatezza e della labilità
psichica di uomini frustrati? Non si può dunque concedere nessuna
attenuante all’incontinente governatore. Ma, pronunciata questa
doverosa condanna, dobbiamo avere l’onestà di non trarre
conclusioni ideologiche colorando di una unica tinta l’intolleranza.
L’intolleranza è di casa dovunque venga superata l’asticella del
rispetto nei confronti dell’altro, senza distinzioni di genere,
come dimostra proprio la battagliera on. Bindi la quale, come un
qualsiasi banalissimo uomo, si abbandona qualche volta ad
esternazioni che, seppure felpate nel più puro stile democristiano,
sono anche esse delle autentiche aggressioni. Ha bacchettato il
prefetto Caruso accusandolo di delegittimare l’impegno antimafia,
per avere questi messo in guardia contro le derive della dottoressa
Saguto ben presto indagata proprio per i motivi denunciati dal
prefetto. Non è questa arroganza ideologica che sacrifica un
funzionario onesto pur di difendere un santuario intoccabile? Ha
inoltre definito impresentabile De Luca risultato successivamente
estraneo alle accuse per le quali la Bindi lo aveva definito tale.
“Nelle liste del PD non ci sono candidati impresentabili tranne il
candidato della Regione Campania” commentò la Bindi a ridosso
delle elezioni regionali in Campania. Roba da ammazzare un bue. De
Luca, come dice Giannini in un suo editoriale su Repubblica, è
indifendibile per mille motivi, ma questo autorizzava l’on. Bindi
ad etichettarlo come impresentabile, e cioè indegno, prima della
pronuncia della magistratura? Di questi scivoloni l’on. Bindi è
giusto che renda conto perché è Presidente della Commissione
Parlamentare Antimafia ed è tenuta ad un rigore e ad un equilibrio
dai quali non può prescindere al riparo della sua inattaccabilità
di genere.
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