In una recente trasmissione televisiva è stata proposta una
lettura delle doti che accomunano Giovanni XXIII e Papa Francesco. In
particolare è stata messa in evidenza la capacità che aveva Papa Roncalli e di
cui anche Francesco è dotato, di catturare il consenso dei fedeli con un carisma
che attrae irresistibilmente. Di Giovanni XXIII è stato ricordato il famoso
discorso con cui egli invitava i fedeli a portare una carezza ai bambini e dire
loro che era la carezza del Papa e, tornando a casa, confortare i propri cari
rassicurandoli che il Papa era con loro “specialmente nel momento della
tristezza e dell’amarezza”. Mi è venuto in mente un altro saluto portato dal
Papa buono ai carcerati quando, in visita a Regina Coeli il 28 dicembre 1958 ,
ha detto loro: “i miei occhi sono nei vostri occhi e il mio cuore è nei vostri
cuori”. Quel Papa aveva un che di mistico che lo faceva apparire quale
autentico erede di Cristo, un pastore che amava i suoi figli di quell’ amore che
coinvolge ogni battito delle ciglia e del cuore, ogni momento della vita di
ciascun uomo, uno ad uno, in ogni angolo sperduto della terra. Si può dire lo
stesso di Papa Francesco? Egli sembra concepire il suo ministero all’insegna
del risentimento anziché dell’amore, probabilmente perché ha convissuto con un
contesto di ingiustizie sociali e di povertà materiale che lo ha indurito. Si
ha come l’impressione che egli voglia far pagare il conto delle sofferenze di
cui è stato testimone e affrontare i mali del mondo non con la misericordia che
perdona ma con l’intransigenza che punisce senza remissione, quasi che il suo
animo, intriso di pessimismo, non riesca a concepire la redenzione dell’uomo e lo
porti a privilegiare altri obiettivi da salvare, come affiora nella sua ultima enciclica
“Laudato si” dedicata all’ambiente. Secondo quanto teme Ettore Gotti Tedeschi, c’è
il rischio che la Chiesa si lasci coinvolgere in una visione gnostica che
sostituisce la fede nell’uomo con la fede nella natura ed elegge
l’ambientalismo a religione universale. E’ una visione parente stretta della
cosiddetta teologia naturale che si collega al concetto stoico di un universo
armonioso, giusto e ordinato, “legge cosmica che governa il mondo e anche la
nostra mente” (Mancuso), secondo cui gli esseri umani sono creati dalla
natura-physis la quale contiene in sé il suo fine, la sua etica che rimanda
all’ordine naturale senza bisogno di un intervento soprannaturale. E’ questo
che vuole Francesco? Di lui si può dire
che le sue crociate rispondano allo spirito evangelico e che i suoi occhi e il
suo cuore sono negli occhi e nel cuore degli uomini? O non si deve piuttosto
temere che le sue scelte di campo risentano di uno scetticismo intransigente
che rinuncia a ricreare l’uomo ed anzi
lo esclude dal progetto salvifico come ha fatto con i mafiosi? Non mi unisco a
quanti sostengono che il Papa promuove se stesso piuttosto che Dio ma ammetto
di essere confuso.
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domenica 18 ottobre 2015
venerdì 9 ottobre 2015
“La vita di un uomo” all’indice
Come era prevedibile “La vita di un
uomo” sta provocando fibrillazioni presso le beghine della
sacrestia forcaiola indignate perché a un “boss” è stata data
la possibilità di esprimersi. Non sia mai che gli appestati escano
dal lebbrosario nel quale sono stati cacciati. E’ allora che i
sacerdoti del conformismo morale aprono le cateratte del loro
sdegno e con aria spiritata pronunciano le loro fatwe contro chi
tenta la fuga dall’emarginazione. Avverso il mio romanzo è in
corso la crociata dei soliti campioni delle verità omologate che
strillano i loro refrain demenziali ricalcando le orme dei censori di
sempre che dalle barricate dell’intolleranza hanno tuonato contro
il diritto di scrivere e di pensare. Il bello è che questi trafelati
paladini della legalità e del bavaglio non hanno letto il libro né
avvertono l’incongruenza di una simile omissione, convinti come
sono che non ci si debba contaminare con l’opera di un mafioso e
che tutto quello che egli esprime debba finire al rogo. Ma tant’è,
è così che la lotta alla mafia diventa l’occasione per gli
sciacalli di issare la bandiera dell’intransigenza morale e fare
della bassa macelleria banchettando con le altrui vite pur di
guadagnare carriere immeritate. Non ci sono strumenti legali per
impedire che il romanzo di un “mafioso” venga pubblicato ma i
custodi della purezza antimafiosa non demordono e avvelenano l’acqua
in rete mandando allarmati messaggi con cui tentano di fare il vuoto
attorno all’autore e all’editore e mettere il libro all’indice.
Purtroppo per loro il libro ormai c’è, appartiene ai lettori e
solo a loro spetta il giudizio non sulla dignità o indegnità
dell’autore ma sul valore della sua fatica.
mercoledì 7 ottobre 2015
Destinati all’oblio
E’ da sempre in atto la disputa tra
quanti sostengono che lo Stato di diritto, in nome della
intangibilità dei diritti fondamentali dell’uomo, non debba mai
essere violato, e quanti invece sostengono che esso debba essere
sostituito con lo Stato di eccezione quando lo esigano le
circostanze. La nostra civiltà giuridica ha da sempre sposato la
prima concezione, sennonché da qualche tempo a questa parte i
paladini dello Stato d’eccezione hanno avuto la meglio, hanno fatto
irruzione nel terreno del diritto ed enfatizzando rischi strumentali,
lo hanno piegato alle necessità che la circostanza imponeva, ora
quella di superare l’immobilismo politico, ora quella di garantire
la sicurezza che si pretendeva minacciata. Lo hanno fatto ricorrendo
a misure eccezionali pur se esse palesavano evidenti limiti di
illegittimità. Il 41 bis è una di esse. E’ illegittima perché
lede diritti che sono alla base della nostra convivenza civile e
perché contraddice il dettato costituzionale con buona pace
dell’orientamento della Suprema Corte che con le sue pronunce ha
privilegiato l’eccezionalità anziché il diritto pur di
assecondare la deriva che conviene alla politica. Una vera e propria
eresia. Leggo della battaglia per i diritti civili condotta da
dissidenti a Cuba, in Iran, in Cina e dei nobili appelli alla
mobilitazione in loro favore, leggo di come il maggior pericolo che
insidia la loro battaglia è la solitudine, l’oblio e il senso di
abbandono che sentono più dolorosi delle torture fisiche. Ebbene
nelle celle del 41 bis e dell’ergastolo il senso di abbandono è
percepito con uguale intensità. Sono luoghi nei quali ogni giorno è
violato il rispetto per la dignità umana e dove il diritto è stato
sospeso, in cui le giornate scorrono monotone e inutili, senza
interessi e senza possibilità di riscatto, in cui la speranza si
spegne nell’attesa del fine pena mai, in cui uomini fatti di carne
e nutriti di sentimenti non possono abbracciare i loro cari per
decenni e assaporano minuto dopo minuto il gusto amaro del tempo che
non passa mai, dell’inedia che consuma il corpo e la mente poco a
poco crudelmente, in compagnia della tentazione suicida che alita sul
collo il suo invito accattivante, finché diventano l’ombra di
quello che erano, ectoplasmi che si trascinano stancamente e sentono
unicamente i loro passi, ossessionanti eppure cari, soli compagni di
una solitudine assordante. E’una solitudine uguale a quella delle
tante vittime della crudeltà a Cuba, in Iran, in Cina, ma ne
differisce perché si appartiene ai figli di un Dio minore ed è
condannata dalla nostra cattiva coscienza all’indifferenza e
all’oblio. Vale la pena di vivere in queste condizioni? Qualche
tempo fa si è conclusa con successo la battaglia per la moratoria
della pena capitale condotta da quel personaggio straordinario che è
Emma Bonino. E’ una battaglia nobile che però, pur nella sua
onestà d’intenti, consegue un obiettivo inconsapevolmente crudele.
Essa è combattuta invocando la sacralità della vita che nessuno,
neanche lo Stato, può sopprimere, ma la sua generosità dimentica
che la condanna all’ergastolo o al regime del 41 bis, pur
risparmiando la vita, è un insulto ben più grave della morte perché
costringe a vivere con l’ossessione del fine pena mai e nelle
condizioni che ho sopra descritto. Ripeto, vale la pena di vivere in
queste condizioni? O non vale piuttosto la pena che lei, signora
Bonino, dolce e determinata paladina di battaglie ideali, inverta la
direzione di marcia e, per i casi in cui la pietà l’impone,
conduca la battaglia per la reintroduzione della pena di morte?
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