Monsignor Galantino con la sua
reprimenda contro i politici insensibili all’accoglienza, non
poteva rappresentare meglio la piroclastica Chiesa di Francesco. Con
una franchezza di linguaggio inusuale per un prete, monsignore ci ha
impartito una lezione su cosa si deve intendere per accoglienza ai
migranti, rivendicata non come frutto della misericordia che un
essere umano prova nei confronti di un suo simile, ma come pretesa di
un obbligo che trasforma “la religione della carità in ideologia
dei diritti” (Marcello Pera, Corriere del 12 agosto). Con tutto il
rispetto per monsignore, credo si possa dire che chiunque approdi
nelle nostre coste non può pretendere altro che carità, non diritti
che non si è guadagnato. Io cristiano non esiterò a condividere le
mie risorse con chi è più sfortunato di me e il laico che, pur non
obbedendo all’imperativo cristiano, avverte gli stimoli della
propria coscienza alla solidarietà, anch’egli non si sottrarrà al
dovere morale di soccorrere chi ha bisogno, ma anche se apriamo,
come stiamo facendo noi italiani, una splendida pagina di solidarietà
nei confronti dei migranti, non per questo dobbiamo abbandonarci a
ubriacature ideologiche scambiando il nostro dovere della
misericordia con i diritti degli altri. E’ facile proclamare una
generosità sconfinata quando non si è chiamati a fare i conti con
le necessità reali. I liberali ci hanno insegnato che la cosiddetta
libertà positiva, seppure è libertà di volere, ha nel suo
esercizio un vincolo che rispetta le libertà altrui, e che i diritti
spettano ai cittadini che hanno sottoscritto un patto sociale
impegnandosi ad osservare in contropartita dei doveri. Questo impegno
nasce da una scelta comune che ha a che vedere con un comune sentire.
I migranti che approdano nel nostro suolo sono portatori di una
cultura che deve ancora misurarsi con i nostri costumi e la nostra
storia e deve guadagnarsi i galloni della cittadinanza attraverso un
percorso di avvicinamento alla cultura di chi li ospita. La politica
può aiutare i migranti in questo percorso di avvicinamento offrendo
soluzioni che diano loro dignità e li aiutino ad integrarsi e, sul
fronte interno, educando il popolo alla tolleranza. C’è chi non si
sente vincolato agli obblighi della solidarietà, chi è spaventato,
chi teme la concorrenza alla propria indigenza, chi ha paura che i
propri costumi e il proprio credo religioso vengano travolti, e non
merita per questo motivo di essere demonizzato ma di essere aiutato a
capire. Come si vede il problema non è semplice e la sfida è di
quelle che fanno tremare le vene ai polsi, ma la si può vincere se
politica e religione riescono a parlarsi. Certo il dialogo non è
incoraggiato dall’intransigenza di monsignor Galantino che
straparla di piazzisti da quattro soldi, di harem e relativismo
morale, e pretende una misericordia senza limiti da chi i limiti ce
li ha ed è costretto a misurarsi con le dure repliche della realtà
mentre tenta di affrontare e risolvere le problematiche prodotte
proprio dalla avventata generosità alla Galantino. Stupisce che la
Chiesa, nonostante sia stata ammaestrata durante il suo millenario
percorso dalle lezioni della storia, si sia arenata in una visione
semplicistica di un problema così complesso. Ma è la Chiesa di
Francesco, la Chiesa che si tuffa nella generosità di una morale
visionaria che non vuole sentire le ragioni della ragione, l’unica
capace di produrre una carità durevole, e della politica che è
l’arte del possibile, che si muove entro i confini imposti
all’azione umana, ma che rimane pur sempre la più alta forma di
carità (Paolo VI).
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