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lunedì 24 agosto 2015

Monsignor Galantino

Monsignor Galantino con la sua reprimenda contro i politici insensibili all’accoglienza, non poteva rappresentare meglio la piroclastica Chiesa di Francesco. Con una franchezza di linguaggio inusuale per un prete, monsignore ci ha impartito una lezione su cosa si deve intendere per accoglienza ai migranti, rivendicata non come frutto della misericordia che un essere umano prova nei confronti di un suo simile, ma come pretesa di un obbligo che trasforma “la religione della carità in ideologia dei diritti” (Marcello Pera, Corriere del 12 agosto). Con tutto il rispetto per monsignore, credo si possa dire che chiunque approdi nelle nostre coste non può pretendere altro che carità, non diritti che non si è guadagnato. Io cristiano non esiterò a condividere le mie risorse con chi è più sfortunato di me e il laico che, pur non obbedendo all’imperativo cristiano, avverte gli stimoli della propria coscienza alla solidarietà, anch’egli non si sottrarrà al dovere morale di soccorrere chi ha bisogno, ma anche se apriamo, come stiamo facendo noi italiani, una splendida pagina di solidarietà nei confronti dei migranti, non per questo dobbiamo abbandonarci a ubriacature ideologiche scambiando il nostro dovere della misericordia con i diritti degli altri. E’ facile proclamare una generosità sconfinata quando non si è chiamati a fare i conti con le necessità reali. I liberali ci hanno insegnato che la cosiddetta libertà positiva, seppure è libertà di volere, ha nel suo esercizio un vincolo che rispetta le libertà altrui, e che i diritti spettano ai cittadini che hanno sottoscritto un patto sociale impegnandosi ad osservare in contropartita dei doveri. Questo impegno nasce da una scelta comune che ha a che vedere con un comune sentire. I migranti che approdano nel nostro suolo sono portatori di una cultura che deve ancora misurarsi con i nostri costumi e la nostra storia e deve guadagnarsi i galloni della cittadinanza attraverso un percorso di avvicinamento alla cultura di chi li ospita. La politica può aiutare i migranti in questo percorso di avvicinamento offrendo soluzioni che diano loro dignità e li aiutino ad integrarsi e, sul fronte interno, educando il popolo alla tolleranza. C’è chi non si sente vincolato agli obblighi della solidarietà, chi è spaventato, chi teme la concorrenza alla propria indigenza, chi ha paura che i propri costumi e il proprio credo religioso vengano travolti, e non merita per questo motivo di essere demonizzato ma di essere aiutato a capire. Come si vede il problema non è semplice e la sfida è di quelle che fanno tremare le vene ai polsi, ma la si può vincere se politica e religione riescono a parlarsi. Certo il dialogo non è incoraggiato dall’intransigenza di monsignor Galantino che straparla di piazzisti da quattro soldi, di harem e relativismo morale, e pretende una misericordia senza limiti da chi i limiti ce li ha ed è costretto a misurarsi con le dure repliche della realtà mentre tenta di affrontare e risolvere le problematiche prodotte proprio dalla avventata generosità alla Galantino. Stupisce che la Chiesa, nonostante sia stata ammaestrata durante il suo millenario percorso dalle lezioni della storia, si sia arenata in una visione semplicistica di un problema così complesso. Ma è la Chiesa di Francesco, la Chiesa che si tuffa nella generosità di una morale visionaria che non vuole sentire le ragioni della ragione, l’unica capace di produrre una carità durevole, e della politica che è l’arte del possibile, che si muove entro i confini imposti all’azione umana, ma che rimane pur sempre la più alta forma di carità (Paolo VI).

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