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venerdì 15 maggio 2015

La cenerentola del diritto nel conflitto tra poteri

I diritti, non solo quelli approssimativamente codificati, ma anche quelli solennemente consacrati nella Carta Costituzionale, che si presume non possano essere disattesi, sono diventati in Italia ostaggio di un conflitto tra poteri che decidono obbedendo a categorie che non hanno nulla da spartire con quella che Kelsen ha definito “dottrina pura del diritto”. Il governo Monti, in debito d’ossigeno e con problemi di cassa, ha deciso che si potesse bloccare la rivalutazione monetaria delle pensioni in deroga al principio della intangibilità dei diritti acquisiti previsto dalla Costituzione. La Corte Costituzionale ha risposto bocciando il provvedimento Monti, immemore di pronunce precedenti di segno contrario sullo stesso argomento e infischiandosi delle conseguenze devastanti per il bilancio dello Stato costretto a far fronte ad un debito di 14 miliardi di euro. Il governo Renzi ha a sua volta dichiarato che rispetterà la sentenza nei modi che riterrà opportuno. Un bel teatrino, non c’è che dire. Bisogna dare atto a Renzi che egli in questa vicenda è costretto a misurarsi con una tegola di cui non ha colpa, con il fiato sul collo dell’Europa che teme uno sforamento dei parametri. Anche lui certo avrebbe potuto evitare i soliti toni spavaldi e non sparare a zero contro la Consulta rea, a suo dire, di invadere il campo della politica. La Consulta sostiene di limitarsi a svolgere il ruolo che le compete, e cioè a vigilare che le decisioni prese dalla politica siano compatibili con la Costituzione e non con equilibri economico sociali. In verità, come osserva qualche costituzionalista, la Corte Costituzionale, così come ha fatto in passato, anche per le pensioni avrebbe potuto procedere in modo da non trascurare le conseguenze finanziarie della sua decisione, pur tenendo il punto sulla perentorietà dei diritti dei cittadini. Avrebbe potuto per esempio sancire l’inviolabilità della rivalutazione delle pensioni, “ma”, cito Sabino Cassese, “lasciando a governo e a Parlamento il compito di scegliere come provvedere” o avrebbe potuto (sempre Cassese) “ripetere il monito (la messa in mora che la Corte fa quando non vuole produrre gli effetti immediati e traumatici che derivano da un annullamento), già fatto in precedenza in fatto di pensioni ”. Invece è andata giù a testa bassa. Sorge il dubbio che si sia verificato uno scontro tra poteri che tendono l’orecchio ad interessi che nulla hanno a che vedere col diritto e che sulle pensioni si sia giocata una partita dal sapore squisitamente politico. Solo così si spiega come ci sia stata una contrapposizione inconciliabile di sei contro sei giudici su una fattispecie giuridica che non avrebbe dovuto prestarsi a divaricazioni così nette. Il crocevia di dialettiche contrapposte ci propone sempre più spesso il dilemma di chi e che cosa privilegiare. Così come oggi si contrappongono la rivalutazione delle pensioni con i vincoli di bilancio, domani si potrebbero fronteggiare esigenze di legittimità con problematiche economiche e sociali di vasta portata (per esempio l’esigenza di perseguire le aziende che fanno disastri ambientali con la tutela del posto di lavoro che quelle aziende assicurano, l’esigenza di garantire la sicurezza con quella di porre mano al problema delle condizioni inumane di vita in carcere, l’esigenza di sequestrare i beni in odore di mafia con quella di non farle fallire, e quant’altro ancora) e purtroppo la Corte Costituzionale non sembra capace di sciogliere il nodo gordiano di queste contrapposizioni coniugando rigore ed equità, né di vigilare affinché i diritti fondamentali dei cittadini vengano rispettati. La conseguenza è che proprio su questo fronte essa subisce l’iniziativa dell’Europa che la surroga in maniera imbarazzante dettando all’Italia l’agenda dei compiti a casa. Le condanne ormai non si contano più, solo che anche l’Europa deve fare i conti con la capacità tutta italiana di bypassare il possibile e l’impossibile. La Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha condannato l’Italia per le inumane condizioni di vita in carcere dei nostri detenuti? L’Italia ha risposto con una legge che prevede rimedi compensativi (8 euro al giorno per chi ha già scontato la pena detentiva, lo scomputo di un giorno ogni dieci giorni per chi deve ancora scontare la pena). Peccato che la normativa per l’ottenimento di questi compensi vanifichi il risultato, visto che l’85% delle domande finora avanzate è stata dichiarata inammissibile e il risarcimento concesso si limita all’1,2% delle richieste. Sempre la Corte di Strasburgo ci ha condannato per la macelleria messicana del G8 di Genova? L’Italia ha risposto approvando in Commissione la proposta di legge che prevede il reato di tortura nel nostro codice penale. Peccato che la proposta giaccia nel dimenticatoio in un ramo del Parlamento. C’è da scommettere che anche per quanto riguarda le pensioni decurtate da Monti, Renzi troverà il modo di bypassare la sentenza della Corte Costituzionale. E’ così che funzionano le cose nostre in un Paese dove le esigenze della giustizia subiscono i ricatti delle esigenze economiche e sociali tanto quanto le esigenze economiche e sociali sono vittime delle schizofrenie della legge, con sullo sfondo i potentati di appartenenza. Tutto mentre coloro che non hanno santi protettori recitano la parte dei vasi di coccio.  

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