Mi aggiravo tra le bancarelle
del mercatino rionale, come ogni mercoledì, quando lo vidi. All’inizio stentai
a riconoscerlo per quanto era cambiato. Molto più curvo di come me lo
ricordavo, mi impressionò proprio per quella postura innaturale che strideva col
suo fisico un tempo asciutto e svettante che sembrava inerpicarsi verso l’alto,
quasi a sfidare il cielo, e che adesso invece fletteva verso il basso come un
ramo piegato dal vento. Il passo era sempre quello, il passo deciso, appena più
incerto del solito, di un uomo che aveva sempre lottato e sempre vinto, tranne
l’ultima sfida. L’ultima lo aveva visto soccombere senza possibilità di
rialzarsi. Avevo seguito tanti anni prima la sua vicenda drammatica senza
poterlo aiutare, confinato nell’impotenza di fronte a qualcosa di più grande e
ineluttabile che presto avrei conosciuto anch’io. Impegnati entrambi a raccattare quello che restava della nostra
vita, ci eravamo perduti di vista ed ora lo rivedevo mentre, muovendosi tra le
bancarelle intento ad osservare la merce esposta, si fermava a trattare con
aria competente l’acquisto dei prodotti che gli interessavano. Comprò delle zucchine, dopo averle tastate con
cura, pagò e andò oltre sempre girando lo sguardo attorno, alla ricerca di
chissà cosa. La drammatica banalità di quella scena mi colpì come un pugno allo
stomaco, essa aveva il sapore di un insopportabile oltraggio al passato
glorioso di un uomo che aveva gestito aziende e pilotato progetti ambiziosi e che
adesso guidava il suo fiuto verso la scelta di ortaggi. Lo osservai più
attentamente e notai gli insulti del tempo. Di quello che era stato un
bell’uomo, rimanevano i resti devastati dalla sofferenza, i capelli radi, la
pelle chiazzata da macchie scure, un leggero tremolio delle mani, e lo sguardo.
Lo sguardo era perduto negli occhi acquosi e spenti e vagava senza interesse.
Come se sentisse di essere osservato, si girò verso di me e passò oltre senza
vedermi. In verità non vedeva niente di ciò che lo circondava, non percepiva il
vociare festante della gente eccitata dal Natale imminente, rinchiuso nel
recinto dei reietti, alle prese col Malessere che lo addentava alla gola,
inseguiva i suoi fantasmi.
Al mio amico e ai reietti come
lui che vivono ai margini della società, nella terra di nessuno dove la pietà è
stata bandita e sostituita dalla ferinità, va il mio augurio per questo Natale
privo di gioia, il mio cuore accompagnerà in ogni istante il calvario della
loro festa. Agli altri, a quelli che hanno bandito la pietà, non so cosa dire,
tranne che il Natale di quest’anno è privo di gioia anche per loro, vittime della
legge del contrappasso che, col suo pesante carico di miserie morali e
materiali, ha aggredito il benessere nel quale si erano crogiolati e li ha
catapultati nel panico, in un Paese che hanno voluto senza misericordia e che
adesso li ripaga condannandoli alla sofferenza, né più e né meno degli infelici
che hanno emarginato.