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martedì 25 marzo 2014

Barroso e affini

I sorrisini che Van Rompuy e Barroso si sono scambiati all’indirizzo di Renzi ripetono un copione già visto quando presidente del consiglio era Berlusconi. Ma Berlusconi aveva perduto di credibilità  e sorridere di lui obbediva ad una tentazione alla quale era difficile resistere anche se la signora Merkel e Sarkozy avrebbero dovuto frenare il loro impulso ben sapendo che irridere a Berlusconi voleva dire irridere all’Italia intera, un Paese che, per quanto abbia potuto fare delle scelte infelici, è pur sempre uno dei fondatori dell’Europa unita e merita di essere trattato con maggiore rispetto. Non siamo mica la repubblica delle banane e la Germania e la Francia non hanno meno torti da farsi perdonare. Certamente nessuno in Italia, forse solo Ferrara, sta ridendo del popolo francese per il copione berlusconiano che in questi giorni sta interpretando Sarkozy vittima di una perfida legge del contrappasso.
I sorrisi ironici e di sufficienza di Van Rompuy e di Barroso sono ancora più inopportuni. Essi si intonano con la fisiognomica da faina del primo e con l’aspetto pacioso di burocrate ottuso del secondo, non certo con lo sforzo e i sacrifici che stanno facendo gli italiani per riparare agli errori fatti e con l’impegno del giovane Renzi di corrispondere a questi sforzi con un programma che parla di scardinare assetti consolidati che da sempre hanno penalizzato l’Italia. Egli sta avendo il merito di progettare l’abbattimento di steccati ideologici e mettere d’accordo in maniera trasversale l’Italia dei meno protetti, facendoci sognare che si può fare e che anche i soliti intoccabili sono chiamati a pagare dazio, che non ci sono tabù insormontabili. Il progetto può andare in porto o no, può convincere o no, ma ha diritto al rispetto, non a sorrisetti. A maggior ragione ha diritto di essere rispettato il nostro popolo che sta lottando come mai nella sua storia recente e che merita solidarietà anziché scherno. I signori Van Rompuy e Barroso, custodi dell’ortodossia europea, dovrebbero sapere per primi che maneggiano una materia su cui non c’è certezza, ancorata com’è a variabili che sfuggono a calcoli sicuri, e non dimenticare che sono solo dei burocrati cui non è lecito irridere alla politica della quale sono una emanazione e per la quale devono nutrire una rispettosa considerazione. La politica a sua volta non dimentichi quale è la sua vocazione, si riappropri del suo ruolo e prenda atto che qualsiasi decisione può essere rivista e che il rapporto del 3% tra PIL e deficit rischia di essere un feticcio fine a se stesso se non ha a cuore il benessere dei suoi cittadini.
Le sofferenze dell’Italia di cui portiamo indubbiamente la responsabilità, hanno coinciso con le speculari fortune di altri Paesi e non è dunque il caso di imperversare, è invece l’ora di ristabilire un poco di equità venendo in soccorso di un Paese straordinario che da lustro all’intera Europa.

Senza la supponenza del gatto e la volpe che, oltretutto, sono prossimi a fare le valigie.

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