Barroso e affini
I sorrisini che Van Rompuy e Barroso si sono scambiati
all’indirizzo di Renzi ripetono un copione già visto quando presidente del
consiglio era Berlusconi. Ma Berlusconi aveva perduto di credibilità e sorridere di lui obbediva ad una tentazione
alla quale era difficile resistere anche se la signora Merkel e Sarkozy
avrebbero dovuto frenare il loro impulso ben sapendo che irridere a Berlusconi
voleva dire irridere all’Italia intera, un Paese che, per quanto abbia potuto
fare delle scelte infelici, è pur sempre uno dei fondatori dell’Europa unita e
merita di essere trattato con maggiore rispetto. Non siamo mica la repubblica
delle banane e la Germania
e la Francia
non hanno meno torti da farsi perdonare. Certamente nessuno in Italia, forse solo
Ferrara, sta ridendo del popolo francese per il copione berlusconiano che in
questi giorni sta interpretando Sarkozy vittima di una perfida legge del contrappasso.
I sorrisi ironici e di sufficienza di Van Rompuy e di
Barroso sono ancora più inopportuni. Essi si intonano con la fisiognomica da
faina del primo e con l’aspetto pacioso di burocrate ottuso del secondo, non certo
con lo sforzo e i sacrifici che stanno facendo gli italiani per riparare agli
errori fatti e con l’impegno del giovane Renzi di corrispondere a questi sforzi
con un programma che parla di scardinare assetti consolidati che da sempre
hanno penalizzato l’Italia. Egli sta avendo il merito di progettare
l’abbattimento di steccati ideologici e mettere d’accordo in maniera
trasversale l’Italia dei meno protetti, facendoci sognare che si può fare e che
anche i soliti intoccabili sono chiamati a pagare dazio, che non ci sono tabù
insormontabili. Il progetto può andare in porto o no, può convincere o no, ma
ha diritto al rispetto, non a sorrisetti. A maggior ragione ha diritto di
essere rispettato il nostro popolo che sta lottando come mai nella sua storia
recente e che merita solidarietà anziché scherno. I signori Van Rompuy e
Barroso, custodi dell’ortodossia europea, dovrebbero sapere per primi che
maneggiano una materia su cui non c’è certezza, ancorata com’è a variabili che
sfuggono a calcoli sicuri, e non dimenticare che sono solo dei burocrati cui
non è lecito irridere alla politica della quale sono una emanazione e per la
quale devono nutrire una rispettosa considerazione. La politica a sua volta non
dimentichi quale è la sua vocazione, si riappropri del suo ruolo e prenda atto
che qualsiasi decisione può essere rivista e che il rapporto del 3% tra PIL e
deficit rischia di essere un feticcio fine a se stesso se non ha a cuore il
benessere dei suoi cittadini.
Le sofferenze dell’Italia di cui portiamo indubbiamente la
responsabilità, hanno coinciso con le speculari fortune di altri Paesi e non è
dunque il caso di imperversare, è invece l’ora di ristabilire un poco di equità
venendo in soccorso di un Paese straordinario che da lustro all’intera Europa.
Senza la supponenza del gatto e la volpe che, oltretutto,
sono prossimi a fare le valigie.
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