Tempo fa ho dedicato un post ad Angelino Alfano ministro di
grazia e giustizia invitandolo a non prendersi troppo sul serio. Gli
agrigentini mi hanno sempre affascinato per la loro peculiarità complessa che
non per nulla ha partorito Pirandello. Il grande agrigentino, quando parlava di
maschera e realtà, riferiva di un mondo che avvolge con la sua ineluttabilità
la vita e ne sviluppa la trama attraverso un divenire di cui non si riesce a
fissare un punto. L’uomo in balia di questo divenire, tenta inutilmente di
opporvisi costruendo delle maschere con cui dare un senso alla propria vita.
Orbene di questo mondo Alfano è un interprete autentico. Per nulla spaventato
dalla portata del destino che gli è piovuto addosso e indifferente ai timori di
un clamoroso fiasco, testardo e proteso verso il suo scopo, non solo si è preso
sul serio ma ha aumentato la posta: non più ministro di grazia e giustizia ma
segretario dell’allora maggior partito italiano. D’accordo, l’incarico, come
quello del dicastero di grazia e giustizia, gli è stato regalato da Berlusconi
in preda ad uno delle sue solite infatuazioni che gli fanno perdere la misura e
la cautela, ma il nostro non si è certo tirato indietro, anzi ha rilanciato, la
sua ambizione gli ha preso la mano e lo ha guidato verso il miraggio del grande
obiettivo: non solo la segreteria del partito ma addirittura la candidatura a
premier!
Di obiettivo in obiettivo ha falciato il suo mentore dichiarando
che non tollererà nella competizione delle primarie del PDL la presenza in
lista di candidati inquisiti, pena il suo ritiro dalla competizione. Addirittura!
E’ pur vero che l’on. Alfano ci ha abituato a performances di tutto rispetto
quando da ministro di grazia e giustizia ha reso più impervio l’accesso agli
sconti di pena, ha inasprito il regime del 41bis, ha concorso a rendere
peggiori le condizioni di vita in carcere, ha disatteso i proclami con cui
prometteva l’apertura di nuove strutture carcerarie e l’alleviamento della
mostruosità del sovraffollamento, ma nessuno poteva immaginare che il suo
rigore e il suo calcolo lo avrebbero spinto fino a invocare la mannaia contro
dei semplici inquisiti, con buona pace della presunzione d’innocenza, della
vocazione liberale e garantista sbandierata dallo schieramento cui appartiene,
pur di concorrere in foia giustizialista con un Di Pietro qualsiasi, proprio
quando Di Pietro comincia a mostrare la corda e servire la polpetta avvelenata
a Berlusconi. E, per quanto si produca in una farisaica acrobazia che confina
tra i reprobi dei semplici inquisiti e santifica come vittima il condannato
Berlusconi, non la da a bere, a tutti appare evidente che, novello Bruto, egli ha
tentato il parricidio senza peraltro riuscire nell’impresa. Il sopracciglio
inarcato, il voto atteggiato a un cruccio pensoso, la maschera appunto, dicono
di un uomo che ha grande considerazione di se ma che dietro la sua altezzosità
fisiognomica nasconde solo il vuoto, l’incapacità di promuovere nuove sfide e
convincenti ideali in alternativa alle lusinghe ammanniteci per vent’anni dal
pifferaio magico, la mancanza dell’astuzia necessaria ad affrancarsi da una
tutela ingombrante e della statura all’altezza di sorprendere il fianco
scoperto del tiranno e liberarci di lui proponendosi in sua vece con una
leadership credibile.