Quella che segue è la lettera che ho inviato al Sen. Fleres per sensibilizzarlo sulla vicenda di Peppe Fontana. La pubblico perchè ritengo che ogni iniziativa a favore di una dignitosa condizione del detenuto meriti visibilità, e perchè spero che la battaglia che in tanti stiamo combattendo perchè sia assicurato il rispetto degli elementari diritti in carcere, trovi nuovi sostenitori.
Al Sen. Salvo Fleres
garante per i diritti dei detenuti in Sicilia
Gentile Senatore Fleres,
apprendo con sollievo che da tempo il Suo Ufficio si sta occupando di Peppe Fontana “per far si che la sua detenzione possa essere rispettosa dei diritti dei reclusi così come previsto dal vigente ordinamento penitenziario”.
Grazie per il Suo impegno, però saremmo tutti più sollevati se Ella spiegasse più chiaramente che cosa sta facendo per il signor Fontana. E ci spiegasse anche perché, nonostante il Suo impegno, a Peppe Fontana non sono mancate attenzioni a dir poco singolari. E’ stato raggiunto da un provvedimento disciplinare (egli così mite seppure così cocciuto), è stato recluso per una settimana in cella di isolamento, indotto ad uno sciopero della fame e della sete, spedito a Badu e Carros certamente non per premiarlo ma per educarlo a non alzare la cresta, esposto ai rischi di una traduzione infinita in ceppi sebbene in condizioni precarie, impedito nel suo diritto di completare gli studi in spregio agli sforzi di tanti anni e alla normativa vigente in materia, sottoposto ad una severità che ha la sua ragion d’essere nell’arroganza del potere.
Che cosa è accaduto perché un uomo come Peppe di cui le relazioni comportamentali certificano l’affidabilità tanto da ritenerlo degno di godere di permessi premio, incappasse nella contraddizione di un premio in sincrono con una severità così punitiva? E’accaduto semplicemente che Peppe Fontana si è scontrato con un tir e ne è stato travolto. Nella sua ingenua presunzione ha ritenuto che fosse titolare di diritti ed è stato riportato ad una realtà che ha dei diritti una concezione approssimativa.
E’ da tempo in atto una disputa tra chi invoca il compromesso tra Stato di diritto e Stato d’eccezione in nome del quale rivendica l’opportunità di derogare ai diritti civili pur di fare pulizia e tutelare la sicurezza, e chi invece, in nome della sacralità di valori non derogabili, dichiara il proprio dissenso. Ha prevalso la prima concezione e in questo quadro si spiega un provvedimento come il 41 bis che si fa beffa dei diritti fondamentali dell’uomo e che per questo motivo è stato bacchettato dalla Corte Europea e dal suo Presidente Jean Paul Casta, su questo fronte è caduto Peppe Fontana.
Leggo della battaglia per i diritti civili condotta da dissidenti a Cuba, in Iran, in Cina e dei nobili appelli alla mobilitazione in loro favore, leggo di come il maggior pericolo che insidia la battaglia di questi martiri è la solitudine e il senso di abbandono che sentono più dolorosi delle torture fisiche e che nel mondo prevale una sorta di apatia ad ogni impegno persino nelle organizzazioni che dovrebbero tutelare i diritti umani e che hanno perso mordente. Ebbene le nostre carceri sono un microcosmo in cui ogni giorno è violato il rispetto degli elementari diritti umani. Sono luoghi nei quali i suicidi si susseguono con cadenza sinistra a testimonianza di una condizione invivibile, in cui detenuti possono essere uccisi con la facilità con cui è stato ucciso Stefano Cucchi, il sovraffollamento sottrae dignità alla vita del detenuto, la giornata scorre monotona senza interessi e senza possibilità di riscatto ventiquattr’ore su ventiquattro, carenze igieniche sanitarie espongono a rischi i detenuti, l’ergastolo ostativo spegne a poco a poco e anzitempo la vita di uomini senza speranza, uomini fatti di carne e nutriti di sentimenti non possono abbracciare per decenni i propri cari, sono luoghi che richiamano le più turpi realtà di violazione dei diritti umani sparsi per la terra.
La solitudine di Peppe Fontana nel carcere di Badu e Carros è la stessa solitudine dei tanti dissidenti nel resto del mondo.
Lei che, oltre ad essere garante dei diritti dei detenuti, è anche senatore della Repubblica, non ritiene che il senatore possa dare una mano al garante e supportarlo nella battaglia che questo ruolo gli impone?
Cordialmente,
Nino Mandalà.
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domenica 11 aprile 2010
domenica 4 aprile 2010
La Pasqua di Peppe
Sono stato troppo ottimista quando, apprendendo della sospensione dello sciopero della fame e della sete di Peppe Fontana, ho tirato un sospiro di sollievo perché convinto che un epilogo drammatico fosse stato scongiurato. E invece no, le conseguenze dell’iniziativa di Peppe, seppure non sono deflagrate nella violenza della morte, si stanno consumando nello stillicidio di una quotidianità spietata inflitta allo spirito prima ancora che al fisico.
Ho notizia che Peppe Fontana, in coincidenza con la cessazione dello sciopero della fame e della sete, è stato tradotto nel carcere punitivo di Badu e Carros.
Peppe ha fatto pervenire quello che egli chiama un “Comunicato di lotta e denuncia da Guantanamo” in cui con la solita prosa arrembante e colorita descrive la sofferenza della traduzione e ne denuncia le motivazioni disegnando scenari apocalittici, temendo progetti oscuri e prefigurando epiloghi inquietanti. Non posso condividere la denuncia di “un occulto programma che mi vuole eliminare” perché mi rifiuto di pensare che anche in un sistema carcerario ottuso e vendicativo come quello italiano si possa giungere fino a tanto.
Comprendo lo stato d’animo di Peppe, la sua frustrazione e so che cosa avviene nell’animo di un uomo in carcere da 16 anni, ho sperimentato di persona che una sensibilità particolare attanaglia il cuore ed enfatizza le vicende e dunque la prudenza è d’obbligo ma posso testimoniare e sottoscrivere il contesto denunciato da Peppe Fontana. Posso testimoniare che lo sciopero della fame è una sfida impari dall’esito scontato, fosse anche il decesso dello scioperante, perché due scioperi della fame mi hanno condotto sulle soglie dell’aldilà senza che l’amministrazione carceraria se ne preoccupasse più di tanto, posso testimoniare che in carcere si può morire di una patologia trascurata non per dolo ma per sciatteria e insensibilità, perché sono rimasto preda della mia polimiosite per venti giorni giungendo alla quasi paralisi degli arti infiammati, al digiuno per impossibilità di deglutire, al soffocamento per impossibilità di respirare, alla tumefazione del mio organismo piagato sia all’interno che all’esterno, prima di essere sottoposto a visita specialistica che ha diagnosticato la gravità della mia patologia e raccomandato il ricovero immediato, ho sperimentato la crudeltà non so se casuale o voluta di una traduzione durata dodici ore inflittami in luogo del ricovero immediato e con totale disprezzo per la mia condizione. Vorrei dire a Peppe che il carcere è un luogo che si può affrontare nei modi più disparati e che il suo modo di affrontarlo è il più nobile, è un luogo dove persino la sua cultura può apparire irritante e farlo sentire come un corpo estraneo e che se egli ha deciso di combattere deve mettere in bilancio una maggiore sofferenza e saperla accettare. Ma dico anche che persino in carcere la sofferenza, se gratuita e procurata, non si giustifica. Io non so se la direttrice del carcere di Pagliarelli è il demonio descritto da Peppe Fontana, anche se della sua intransigenza ho avuto contezza in occasione della mia ultima permanenza a Pagliarelli, ma so che in un confronto tra i due la peggio tocca a Peppe, perché così vanno le cose del mondo come ci insegna Trasimaco secondo cui “la giustizia non è niente altro che l’interesse del più forte”. E so anche che in questa vicenda ci sono coincidenze che destano sospetti, episodi poco chiari e che la traduzione a Badu e Carros, carcere che inquieta le notti di chi lo ha vissuto, immediatamente succeduta ad uno sciopero della fame letto dall’amministrazione carceraria come una sfida portata alla propria autorità, sa tanto di rappresaglia, di occasione colta per un regolamento di conti nei confronti di un detenuto che ha osato portare fuori dalle mura del carcere le problematiche della detenzione. Non voglio fare dietrologia né cacce alle streghe ma rivendicare l’opportunità di un indagine sulla vicenda e, come suggerito da qualcuno, di una segnalazione alla Corte Europea per i diritti dell’Uomo.
Intanto a Peppe va tutta la mia solidarietà e il mio affetto, lo sprone a tenere duro e l’invito a viaggiare negli spazi che egli ben conosce e di cui abbiamo tante volte parlato:anche se non è credente gli sta toccando in sorte di vivere la Pasqua nel suo spirito più alto.
Ho notizia che Peppe Fontana, in coincidenza con la cessazione dello sciopero della fame e della sete, è stato tradotto nel carcere punitivo di Badu e Carros.
Peppe ha fatto pervenire quello che egli chiama un “Comunicato di lotta e denuncia da Guantanamo” in cui con la solita prosa arrembante e colorita descrive la sofferenza della traduzione e ne denuncia le motivazioni disegnando scenari apocalittici, temendo progetti oscuri e prefigurando epiloghi inquietanti. Non posso condividere la denuncia di “un occulto programma che mi vuole eliminare” perché mi rifiuto di pensare che anche in un sistema carcerario ottuso e vendicativo come quello italiano si possa giungere fino a tanto.
Comprendo lo stato d’animo di Peppe, la sua frustrazione e so che cosa avviene nell’animo di un uomo in carcere da 16 anni, ho sperimentato di persona che una sensibilità particolare attanaglia il cuore ed enfatizza le vicende e dunque la prudenza è d’obbligo ma posso testimoniare e sottoscrivere il contesto denunciato da Peppe Fontana. Posso testimoniare che lo sciopero della fame è una sfida impari dall’esito scontato, fosse anche il decesso dello scioperante, perché due scioperi della fame mi hanno condotto sulle soglie dell’aldilà senza che l’amministrazione carceraria se ne preoccupasse più di tanto, posso testimoniare che in carcere si può morire di una patologia trascurata non per dolo ma per sciatteria e insensibilità, perché sono rimasto preda della mia polimiosite per venti giorni giungendo alla quasi paralisi degli arti infiammati, al digiuno per impossibilità di deglutire, al soffocamento per impossibilità di respirare, alla tumefazione del mio organismo piagato sia all’interno che all’esterno, prima di essere sottoposto a visita specialistica che ha diagnosticato la gravità della mia patologia e raccomandato il ricovero immediato, ho sperimentato la crudeltà non so se casuale o voluta di una traduzione durata dodici ore inflittami in luogo del ricovero immediato e con totale disprezzo per la mia condizione. Vorrei dire a Peppe che il carcere è un luogo che si può affrontare nei modi più disparati e che il suo modo di affrontarlo è il più nobile, è un luogo dove persino la sua cultura può apparire irritante e farlo sentire come un corpo estraneo e che se egli ha deciso di combattere deve mettere in bilancio una maggiore sofferenza e saperla accettare. Ma dico anche che persino in carcere la sofferenza, se gratuita e procurata, non si giustifica. Io non so se la direttrice del carcere di Pagliarelli è il demonio descritto da Peppe Fontana, anche se della sua intransigenza ho avuto contezza in occasione della mia ultima permanenza a Pagliarelli, ma so che in un confronto tra i due la peggio tocca a Peppe, perché così vanno le cose del mondo come ci insegna Trasimaco secondo cui “la giustizia non è niente altro che l’interesse del più forte”. E so anche che in questa vicenda ci sono coincidenze che destano sospetti, episodi poco chiari e che la traduzione a Badu e Carros, carcere che inquieta le notti di chi lo ha vissuto, immediatamente succeduta ad uno sciopero della fame letto dall’amministrazione carceraria come una sfida portata alla propria autorità, sa tanto di rappresaglia, di occasione colta per un regolamento di conti nei confronti di un detenuto che ha osato portare fuori dalle mura del carcere le problematiche della detenzione. Non voglio fare dietrologia né cacce alle streghe ma rivendicare l’opportunità di un indagine sulla vicenda e, come suggerito da qualcuno, di una segnalazione alla Corte Europea per i diritti dell’Uomo.
Intanto a Peppe va tutta la mia solidarietà e il mio affetto, lo sprone a tenere duro e l’invito a viaggiare negli spazi che egli ben conosce e di cui abbiamo tante volte parlato:anche se non è credente gli sta toccando in sorte di vivere la Pasqua nel suo spirito più alto.
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