Cesare Battista è sicuramente un personaggio negativo e non
c’è nessuno che, per quanti sforzi faccia, possa ricavarne un profilo che
meriti pietà. Uccidere a sangue freddo e in maniera vile degli innocenti nel
nome di una ideologia che era solo una bandiera agitata allo scopo di spacciare
per vocazione rivoluzionaria una miserabile vocazione al crimine puro, la dice
tutta sulla caratura di questo delinquente. Cinico e calcolatore, è riuscito a
darla a bere ai soliti “intellettò” salottieri inclini alle infatuazioni
perverse, tra cui primeggia il solito Bernard- Henri Lévy, che tanti danni hanno fatto e che,
nella fattispecie, hanno fatto quadrato attorno al nostro giungendo fino all’improntitudine
di riconoscergli una dignità letteraria. Sembra incredibile che mosche
cocchiere assise sulla presunzione della loro infallibilità, siano potute
cadere nel tranello del signor Battisti, ma tant’è, il dogmatismo ideologico
che confonde il grano con il loglio fa brutti scherzi. C’eravamo illusi che la
sorte avesse finalmente girato le spalle a questa primula in fuga sui due
continenti. Salvato dai rigori della giustizia grazie ad una lunga latitanza
protetta, nel momento in cui è stato arrestato ed è sembrato destinato ad una
carcerazione ingloriosa, dimenticato come merita un comune malfattore, ecco che
ci hanno pensato i nostri ministri dell’interno e della giustizia a dargli una
mano producendosi in una performance degna dei migliori promoters e lanciando
nel pantheon dei martiri questo galantuomo esibito come un trofeo di caccia ed esposto
alla pubblica gogna in un clima che ci riporta agli scenari da suburra degli spettacoli
circensi. Ci mancava solo che il signor Salvini e il signor Buonafede facessero
pollice verso. In questo modo i nostri geni hanno ottenuto il bel risultato di
consegnare un individuo simile ad una pietà che non merita. Se oggi il Web
brulica di proteste sulla dignità calpestata del signor Battisti, lo dobbiamo
ai nostri ineffabili ministri. Senza considerare poi la sconcezza in sé di due
uomini delle istituzioni che fanno passerella competendo nella gara a chi è più
visibile a spese di un uomo, sia esso il peggiore degli uomini. Spettacolo
avvilente di un provincialismo culturale espressione di una società malata che
non sa offrire niente di meglio.
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venerdì 18 gennaio 2019
giovedì 17 gennaio 2019
Comandano i terroni
Il titolo di Libero, “Comandano i terroni”, con riferimento
alle tre alte cariche dello Stato , Presidenza della Repubblica, Presidenza del
Consiglio, Presidenza della Camera, occupate da tre meridionali, ha suscitato,
come c’era da aspettarsi, reazioni indignate. Il titolo è certamente un insulto
gratuito che offende non solo la forma ma anche la sostanza. Esso infatti non
solo ci regala uno scampolo becero della penna al vetriolo del solito Feltri ma
agita un problema che non esiste. Da che mondo è mondo, i posti di potere della
politica in Italia sono stati sempre appannaggio dei proconsoli insediati a
nord di Roma, e non c’è motivo di gridare al lupo solo perché in questo momento tre meridionali siedono ai
vertici delle istituzioni. Forse che
questa “colonizzazione” delle alte cariche dello Stato mette in pericolo la
condizione di supremazia del nord che da sempre connota la scena politica
italiana? Sembra quasi che nei nostri allarmati concittadini del nord, abituati
a considerare il sud serbatoio di voti e i terroni subalterni agli interessi
del nord, scatti una sorta di tic pavloviano che li fa insorgere preoccupati. Tranquilli
signori del nord, non correte rischi, a dispetto delle tre alte cariche dello
Stato, il potere, non solo quello economico, è saldamente in mano vostra e
continuerete come sempre a comandare voi, altro che i terroni! Detto questo però, c’è un però, ed è che,
tanto per cambiare, noi meridionali non ci siamo lasciati sfuggire l’occasione per
piangere sulla nostra condizione, secondo un’antica tendenza al vittimismo,
chiamando in causa altrui colpe anziché le nostre. E’ così che alcune penne
indignate si sono prodotti in una sorta di chiamata alle armi lamentando la
nostra condizione di subalternità al nord, rivendicando il nostro orgoglio e
lanciando un invito a pretendere che la questione meridionale sia posta al
centro dell’agenda politica del Paese come se questa fosse la panacea dei
nostri mali! Ma dov’è l’originalità della proposta? Da quando sono nato non sento parlare d’altro
che di questione meridionale senza che ai buoni propositi e alle roboanti
promesse siano seguiti i fatti, e ciò non per colpa d’altri ma per i nostri
vizi, per l’inadeguatezza di noi meridionali. Di quale orgoglio parliamo
infatti e dov’è l’orgoglio di un popolo che per buona parte non sa produrre, che
non conosce l’etica della responsabilità, che ha fatto della propria
inefficienza la cifra della propria identità e si è consegnato alla sua sorte
di sottoprodotto sociale dedito alla questua e impegnato a ricorrere ad
espedienti? E’ sempre stato così e non vedo perché dovremmo lamentarci degli
sbracamenti di coloro che abbiamo incoraggiato a trattarci da paria. Certo non
è il massimo sentirci dare del terrone, ma cosa possiamo aspettarci da gente
che ha nel proprio DNA la rozzezza del sangue celtico e alla quale peraltro noi
offriamo lo spunto per dare la stura al solito, logoro razzismo? E, a proposito
di razzismo, sicuramente non è indice di una visione alta della politica
ritenere di ridurre il sud ad una provincia residuale staccata dall’Europa. Con
buona pace dei signori leghisti è una visione che non porta lontano. Così come
non porta lontano illudersi, come ha fatto qualcuno, che l’orgoglio del sud sia
ben rappresentato da epigoni del calibro di Orlando e De Magistris. Questi
signori hanno già dato prova di sé e non è il caso di rimpiangerli.
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