Viene voglia di tifare per Salvini, e infatti buona parte
degli italiani lo fa mentre le solite prefiche, in preda ai consueti isterismi,
non sanno fare di meglio che gridare al lupo tacciando il nostro ministro
dell’Interno di fascismo per i suoi atteggiamenti muscolari e i suoi scivoloni
lessicali che sono un insulto all’intelligenza e sintomo di incultura ma che
tutto sommato attentano solo al buon gusto, sempre che alle parole non seguano
i fatti. Nessuno di loro che si interroghi sul perché, nonostante tutto, tanta
gente abbia decretato il successo del capo leghista. Egli ha i toni del bullo
di periferia, frequentazioni internazionali poco raccomandabili, alleanze
contraddittorie con gente ( Orbàn ) che ha a cuore interessi contrari ai nostri,
ha detto peste e corna dei meridionali salvo scendere successivamente in mezzo
a loro agitando la bandiera delle loro rivendicazioni con una disinvoltura da
funambolo della coerenza, millanta progetti che sa di non potere realizzare, ha
un eloquio poco istituzionale ( è finita la pacchia ), azzarda sfide che ci fanno
rischiare l’emarginazione, eppure imperversa col vento in poppa e con la prospettiva di fare il pieno al prossimo
turno elettorale. Se invece di ricorrere a facili demonizzazioni facessimo un’analisi onesta, capiremmo che
Salvini è il frutto di errori che sono
stati fatti e continuano ad essere fatti da tutti e ai quali bisogna sforzarsi
di porre rimedio. Una delle ragioni che spiegano il suo successo è il pugno
duro contro l’approdo nelle nostre coste dei migranti, e certo non ha aiutato a
ridimensionare la sua intransigenza (
anzi, il contrario ) l’uscita infelice dei francesi che con una faccia tosta
degna di miglior causa pretendono di dare lezioni di umanità sul fronte
dell’accoglienza a noi italiani che siamo tra i primi al mondo nell’universo
del volontariato e della solidarietà, e al contempo chiudono le porte di casa
loro respingendo i migranti a Ventimiglia e blindando i loro porti. Ahinoi, la Francia
non perde il vizio di salire in cattedra e impartire lezioni con la solita
prosopopea e il solito complesso di superiorità inconcludente e velleitario. La
miopia e l’inadeguatezza dell’Europa hanno fatto il resto e Salvini ha avuto buon gioco a farsi passare per paladino del
suo popolo con la narrazione dell’attacco portato ai nostri interessi dalle élites europee e del peggioramento
delle già precarie condizioni dei nostri concittadini più poveri a causa della
concorrenza dei disperati d’Africa, contro cui può impunemente impugnare la
bandiera dell’euroscetticismo e della xenofobia. Si può dire senza tema di smentita che il progenitore di Salvini è
l’Europa. Se alla Francia è stata data
la possibilità di fare sfracelli in Libia con il conseguente verminaio della
guerra di tutti contro tutti che ha fatto saltare il tappo all’ondata
migratoria incontrollata (in nome di una crociata umanitaria che nascondeva la solita
smania di grandeur), se alla Germania e ai Paesi del Nord Europa è stato
consentito di praticare una cieca politica di rigore che ha avuto come primo
obiettivo il consolidamento delle loro economie forti senza alcuna
considerazione per il welfare dei Pesi più poveri, se è stato consentito loro di
gestire la crisi finanziaria greca con una intransigenza pelosa che ha salvato
alcune banche tedesche buone a lucrare grossi guadagni sulla pelle della Grecia
in tempi di vacche grasse ma non a pagare le conseguenze del rischio assunto
allorché i loro investimenti sono diventati carta straccia, e di fare invece la
faccia feroce contro lo Stato italiano quando questo è corso in aiuto delle
nostre banche in crisi, se al contrario l’Italia, con la zavorra del suo debito
pubblico e con la sua insipienza, si è autorelegata al ruolo di comparsa senza
alcun peso nelle decisioni che contano ed è costretta a presentarsi col
cappello in mano tutte le volte che chiede un minimo di flessibilità, mentre invece
altri Paesi ne hanno abusato senza che ciò abbia destato scandalo, se ai Paesi
dell’est europeo è stato consentito di attingere a piene mani dalle risorse
europee ma non è stato imposto di rispettare gli obblighi ai quali sono
vincolati, se l’Italia e la Grecia sono state abbandonate al loro destino di
Paesi da ultima spiaggia dove navi battenti bandiere di altri Paesi, sulla autentica
vocazione solidale di alcune delle quali è lecito nutrire dubbi, riversano il
loro carico di umanità anziché fare
rotta verso i Paesi di appartenenza e invece ai Paesi del resto d’ Europa è stato consentito di chiudere
i loro porti e di gridare, con una
logica che lascia di stucco, alla irresponsabilità e al cinismo quando a
chiudere i porti sono stati gli italiani, se la Germania ha ottenuto che
venisse elargita alla Turchia una regalia di 3 miliardi di euro l’anno, attinti
dalle casse dell’Europa, in cambio del blocco della rotta balcanica e il
conseguente maggior flusso migratorio sulla rotta del Mediterraneo, se non si
riesce a modificare il trattato di Dublino che impone di tenere i migranti nel
Paese in cui arrivano e in più si profila all’orizzonte la minaccia del signor Seehofer, ministro
dell’Interno tedesco, di rinviare i migranti accolti in Germania ma privi dei
requisiti necessari, verso i Paesi dove sono stati registrati (vedi Italia e
Grecia), se insomma in Europa allignano furbizie, egoismi e ipocrisie, vige il
tornaconto dei Paesi più forti che
riescono a fare sistema, se lo sguardo non va oltre la siepe degli interessi
particolari e ignora le rivendicazioni e le giuste ragioni dei Paesi meno forti,
non ci si può scandalizzare se a tutto ciò si oppone la rodomontesca
aggressività di Salvini. L’Europa nasce come patria di tutti con un progetto
solidale e una carica ideale che poggia su valori comuni e ha forgiato lungo gli anni identità che si
sono sempre più integrate creando le fondamenta di quella che può diventare una
unica futura nazione. Una nazione si assume il carico del buono e del meno
buono che trova sulla sua strada. Se la Germania occidentale avesse fatto solo
calcoli di convenienza economica avrebbe dovuto rinunciare all’unificazione. Se
l’Europa ha come obiettivo solo l’etica del rigore e non la solidarietà, se non
sa volare alto ispirandosi agli ideali superiori che l’hanno fatta nascere, se
non sa condurre la battaglia in difesa dei più deboli (senza sconti, sia
chiaro, sul rispetto delle regole di cui anche i deboli si debbono far carico e
sullo sforzo che essi devono produrre in direzione di una più virtuosa gestione
della propria economia) facendone la battaglia di tutti perché comune è il destino
di essa e le criticità rischiano di trasformarsi in un boomerang per l’intero
sistema, se non sa dotarsi di una politica estera unisona che non obbedisca a
interessi particolari e ci faccia combattere a ranghi serrati le sfide globali
che ci attendono, tra cui l’emergenza emigranti da affrontare con un approccio
coeso, corresponsabile e intelligente, nella consapevolezza che essa è
l’avvisaglia di un esodo epocale e inarrestabile, essa ha fallito e il futuro è
dei Salvini e delle piccole patrie destinate ad essere fagocitate dai molossi
universali.
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giovedì 21 giugno 2018
lunedì 4 giugno 2018
I dioscuri
Con l’irruzione sulla scena di Di Maio e Salvini i giacobini italiani possono
contare su due alfieri irriducibili delle
loro frustrazioni e delle loro fobie.
Col suo portamento da abatino, con la sua grisaglia
d’ordinanza, con il suo pedigree incolore, con il suo lessico infarcito di
strafalcioni, lo scugnizzo di Pomigliano li rappresenta a pieno titolo e li
guida all’assalto del potere a dispetto dei saperi e delle competenze. Teorico
della democrazia diretta di rousseauiana memoria (ma ha letto Rousseau?),
affida agli algoritmi della Casaleggio Associati il compito di reclutare in
rete i disinvolti sostenitori delle più strampalate semplificazioni, una
minoranza che rappresenta solo se stessa, di assecondarne le pulsioni
velleitarie e, spacciandoli per espressione della volontà popolare, proiettarli
ai vertici delle istituzioni. Sostituisce, senza avvertire il senso del
ridicolo, Tocqueville con Grillo e pretende di mandare in soffitta le regole
della vita democratica, teorizzando una dittatura della maggioranza autoreferenziale
che non risponde ai vincoli previsti dalla Costituzione. Bipolare e corrivo,
transita da un opposto all’altro prestando orecchio agli altalenanti umori
della piazza e cambiando parere a seconda delle convenienze. Il suo capolavoro
è stato la contradanza degli atteggiamenti contraddittori nei confronti del
Capo dello Stato. E’ passato dalle lodi più sperticate(“ Piena fiducia in un
grande uomo come Mattarella su qualsiasi decisione”, “Nessuna pressione su
Mattarella”, Mattarella pienamente rispettoso della Costituzione”) quando
ancora questi non aveva bocciato il nome di Savona, alle accuse più infamanti (
“Complice dell’establishment”, “Traditore della Costituzione da mettere in
stato d’accusa” ) e addirittura alla richiesta di impeachment, per servirci alla fine
l’ennesima capriola, la versione dell’agnellino pronto a collaborare. Con la
Lega non è stato da meno passando dalla demonizzazione all’alleanza con essa.
Salvini dal canto suo non ha niente della sprovvedutezza del
suo gemello ma proprio per questo è più pericoloso. Egli dispone di un cinismo
e di un fiuto che lo hanno fatto muovere con abilità nella intricata trattativa per la
formazione del governo. Aveva un piano e lo ha centrato in pieno piazzandosi al
centro della scena e proponendosi come elemento insostituibile. Ha dimostrato
di possedere una sua intelligenza strategica ma non l’etica della
responsabilità e ha messo il suo background al servizio dell’ interesse di
parte piuttosto che dell’interesse nazionale. Ingrugnito e pieno di sé, cavalca
i peggiori istinti della piazza con linguaggio tribunizio e incendiario, mostrando
di non possedere quella dote che fa la grandezza di un leader, la capacità di
rinunziare al proprio ego per amore della Patria, unita al senso della missione
visionaria che ha al suo centro l’interesse superiore. Anche lui non si è
risparmiato nella gara agli insulti con i 5 Stelle prima di sposarseli con
tanto di contratto.
Questi due campioni così diversi e così uguali, accomunati
da un peronismo d’antan, ci hanno fatto penzolare per due giorni sull’orlo del
precipizio fino a quando sono stati spaventati dalla nemesi dei mercati e, di
fronte allo scenario catastrofico che rischiava di mandare in malora il Paese, non
per amor di Patria ma per calcolo, sono venuti a più miti consigli. Il governo
è fatto ma affrontiamo trepidamente il viaggio in mare aperto consapevoli che i
soci di maggioranza di esso sono questi signori e che la loro inaffidabilità non è il miglior
viatico per una navigazione tranquilla.
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