Ho condiviso la testimonianza di una donna affetta da Sla e ho
sentito mia tutta la sua umanità martoriata tanto più quanto più l’infame sclerosi
laterale amiotrofica sta tentando di cancellarne l’identità. Perfida e invasiva
essa ha attaccato le sue cellule cerebrali, ha compromesso i suoi arti ed è
arrivata fino all’insulto estremo rendendola un relitto che vegeta con la
fissità di un cadavere vivente, incapace di esprimere ciò che prova, persino di
respirare, mortificata dall’umiliazione di dipendere dagli altri anche per i
bisogni più imbarazzanti. Dell’umanità di questa persona è rimasta solo la
volontà ferrea di giungere in fondo pur tra mille sofferenze, eroica e ferma nel
suo attaccamento alla vita e ai suoi valori irrinunciabili, nel suo proposito
di non darla vinta alla sfida titanica portata dalla sorte e resistere con
serenità fino alla fine che Dio vorrà. Di altri so che hanno ceduto e sono in
preda ad una disperazione muta straziando la loro anima e invocando la fine
anzitempo. La testimonianza di questa donna eroica mi ha fatto venire in mente storie
di altri infelici confinanti con l’abisso, gli ergastolani. Di essi alcuni non
hanno rinunciato a lottare, continuano a progettare i loro sogni, a coltivare
le loro speranze, a rivendicare le loro intelligenze e il loro sentire. Altri
invece si sono arresi e vivono la loro esistenza come una finzione di vita che
parla solo a se stessa, monca, innaturale, senza connessioni con il resto del
mondo, arrancando dolenti e confusi, avanzi sventurati dell’antico contesto, ossessionati
dai demoni che si avventano sulle loro fragili coscienze e le conducono
all’appuntamento col loro pensiero onirico latente, l’appuntamento con il
suicidio. La sorte che accomuna questi infelici è il sudario che li ha
destinati ad una uguale prova, alla prova estrema di sé, alla capacità di alimentare
o meno una scintilla di dignità che li faccia sentire, nonostante tutto, ancora
umani.