Non passa giorno senza che ci giunga
notizia di qualche ruberia consumata dai nostri pubblici
amministratori. Il problema è serio ma abbiamo la tendenza a
sottovalutarlo perché noi italiani siamo afflitti da un lassismo
morale che ci fa guardare con simpatia ai potenti corrotti
considerati furbi anziché disonesti, e ci fa rammaricare di non
essere al loro posto. In genere dunque non ci scandalizziamo più di
tanto e lasciamo correre, a meno che non siamo presi per mano e
portati in piazza a fare ammuina dai manipolatori di professione che
decidono su che cosa è opportuno sdegnarsi. Le pubbliche ruberie, la
corruzione, i grandi affari illeciti coinvolgono uomini tanto potenti
e convengono ad una così larga fetta della società da risultare
impunibili, anche se la conseguenza è lo sfascio dello Stato. Se ci
scappa l’incidente e qualche stupido si fa beccare con le mani
nella marmellata, se proprio non si può insabbiare, scatta la corsa
a minimizzare e a non infierire troppo. Gli arresti domiciliari, gli
arresti negati quando si tratta di parlamentari, e male che vada,
quando proprio non si può evitare, qualche annetto di reclusione in
carcere, sono il massimo che questi galantuomini rischiano. Ci può
stare, specie se si è fatto in tempo ad accumulare il malloppo e a
metterlo al sicuro, l’importante è non farsi sfiorare da sospetti
di collusione mafiosa, perché in questo caso scattano decenni di
carcere, sequestri di patrimoni più o meno leciti, allarmi che
tornano utili ai disegni di chi ha interesse ad alimentare il clima
d’emergenza e contrabbandare pericoli farlocchi per distrarre
l’attenzione dalla mafia in pantofole, la sola veramente vincente.
Il gioco è facile, perché in quel mondo di principi sacri quale è
quello dei mammasantissima è d’uso soffrire in silenzio, issare la
bandiera del valore al merito conquistato grazie al cursus honorum di
una lunga detenzione e, con la vocazione all’autolesionismo,
fungere da utili idioti. Non si vuole certo sottovalutare la portata
e l’attualità del problema mafioso e tantomeno elevare i mafiosi a
rango di vittime, ma c’è il timore che, ubriachi di antimafiosità,
sottovalutiamo la portata e l’attualità del malcostume e del
malaffare che sempre più pervadono la nostra società, che sono
altrettanto se non più pericolosi del fenomeno mafioso, e per giunta
pretendono di manipolarci. Mentre infatti i tragici protagonisti di
quella che fu una sciagurata epica mafiosa, trasformatisi in patetici
figuranti, vengono utilizzati per lustrare blasoni e coprire maneggi,
i boss dei piani alti della politica, seduti in prima fila alla
greppia della cosa pubblica, banchettano vestendo i panni
dell’intransigenza morale. Ne è testimonianza la sequela di
proteste sdegnate e ipocrite che siamo costretti a sorbirci dopo che
i Casamonica hanno allestito lo spettacolo kitsch dei funerali del
loro capo, folcloristici e di cattivo gusto quanto si vuole, ma che
non hanno avuto certo la pretesa di attentare all’autorità dello
Stato come vogliono farci credere. E, se è vero, ma non è vero,
che degli zingari che non sanno neanche che cosa è lo Stato,
volevano sfidare lo Stato, dove erano quelli che avrebbero dovuto
impedirlo? E’ vero invece che l’insulto allo Stato prima che gli
zingari, lo portano gli uomini delle istituzioni, impegnati a fare i
loro interessi invece del bene comune. Eccoli lì i nostri bravi
politici e certi giornalisti che reggono loro il gioco, tutti
fintamente scandalizzati e indignati, con l’aureola delle vergini
violate, pronti a cogliere l’occasione per sfoderare le gramaglie
di circostanza, tutti caduti dal pero del loro lindore insozzato! Al
riparo della loro faccia di bronzo, questi malandrini dai polsini
inamidati hanno buon gioco a mettere in ginocchio l’economia e
saccheggiare le casse dello Stato. Razziano a piene mani, evadono il
fisco, rubano, corrompono, si fanno corrompere, ora agitando la
bandiera del loro impegno contro le mafie usato come specchietto per
le allodole, ora non agitando un bel niente, sicuri della loro
impunità, con l’arroganza tipica dei veri mafiosi. Il Mezzogiorno
che si stacca sempre più dall’Europa e si avvicina al Maghreb,
Roma allo sfascio, Fiumicino nel caos, Pompei e le opere d’arte
uniche al mondo ostaggio di quattro imbecilli aizzati dal sindacato,
la miseria che incombe sempre più inarrestabile e ingrossa le fila
dei sempre più numerosi nuovi poveri, specie al sud dove (rapporto
annuale sullo stato del Mezzogiorno) ” la crisi ciclica rischia di
trasformarsi in un sottosviluppo perenne, il PIL pro capite si è
ridotto nel 2014 al 57% del valore nazionale, il numero degli
occupati è sceso a 5,8 milioni, il più basso dal 1977, le famiglie
meridionali consumano mediamente il 67% di quello che consumano le
famiglie del Centro-Nord”, sono i frutti avvelenati che stiamo
raccogliendo. Siamo ormai un Paese spaccato a metà, con un Sud da
quarto mondo, grazie a questa classe dirigente incompetente, avida,
corrotta e miope, autentica mafia insinuata nei gangli vitali dello
Stato e composta da veri professionisti delle peggiori nefandezze (e
per favore Buccini ci risparmi il suo sarcasmo a proposito
dell’equazione mafia=politica bollata come un ritornello
populista), che affonda i suoi denti aguzzi nelle nostre carni e
non ha neppure l’accortezza di rimpolpare il tessuto da azzannare
alla prossima occasione, specchio fedele della nostra società
cosiddetta civile, bravissima, specie quella meridionale, a
piagnucolare sulla propria malasorte ma incapace di essere
all’altezza del proprio riscatto. Di quale riscatto può essere
infatti capace una società nella quale imperversano la mancanza di
senso civico, l’inettitudine imprenditoriale, le rivendicazioni di
assistenzialismo, la retorica antimafiosa che invece di combattere la
mafia conclude affari e costruisce carriere, le zone grigie dei
cittadini compiacenti che ammiccano con complicità silente e sono il
brodo di coltura della mafia, l’ambizione di misurarci in imprese
manifatturiere che non sono nelle nostre corde di contro alla
sottovalutazione delle potenzialità turistiche sulla quali, grazie
ai patrimoni artistici e naturali unici al mondo di cui disponiamo,
potremmo costruire il nostro futuro, la mancanza di un progetto di
valorizzazione e di recupero delle nostre opere d’arte che, oltre a
restituirci il godimento del bello, aiuterebbe a risolvere il
problema dei tanti giovani sfornati dalle Accademie di Belle Arti e
catafottuti nel girone delle balzachiane illusioni perdute, la
furbizia che ci fa ritenere i soli scaltri in circolazione quando
invece siamo solo dei cialtroni che sperperano la loro credibilità,
la presunzione di provenire da lombi superiori ed avere diritto in
Sicilia allo Statuto Speciale, un mostro speciale all’insegna del
quale è stato organizzato il festival del privilegio, e via
elencando? E mentre ci balocchiamo col nulla, la mafia tradizionale
dei dilettanti allo sbaraglio, o quello che rimane di essa,
ringrazia. Se nutriva qualche speranza di rialzare la testa, lo Stato
gliene sta offrendo l’occasione spingendo ad ingrossare le sue fila
un esercito di disperati allo sbando e dalla coscienza fragile che
non sa più dove sbattere la testa. Un bel risultato, non c’è che
dire!
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venerdì 28 agosto 2015
lunedì 24 agosto 2015
Monsignor Galantino
Monsignor Galantino con la sua
reprimenda contro i politici insensibili all’accoglienza, non
poteva rappresentare meglio la piroclastica Chiesa di Francesco. Con
una franchezza di linguaggio inusuale per un prete, monsignore ci ha
impartito una lezione su cosa si deve intendere per accoglienza ai
migranti, rivendicata non come frutto della misericordia che un
essere umano prova nei confronti di un suo simile, ma come pretesa di
un obbligo che trasforma “la religione della carità in ideologia
dei diritti” (Marcello Pera, Corriere del 12 agosto). Con tutto il
rispetto per monsignore, credo si possa dire che chiunque approdi
nelle nostre coste non può pretendere altro che carità, non diritti
che non si è guadagnato. Io cristiano non esiterò a condividere le
mie risorse con chi è più sfortunato di me e il laico che, pur non
obbedendo all’imperativo cristiano, avverte gli stimoli della
propria coscienza alla solidarietà, anch’egli non si sottrarrà al
dovere morale di soccorrere chi ha bisogno, ma anche se apriamo,
come stiamo facendo noi italiani, una splendida pagina di solidarietà
nei confronti dei migranti, non per questo dobbiamo abbandonarci a
ubriacature ideologiche scambiando il nostro dovere della
misericordia con i diritti degli altri. E’ facile proclamare una
generosità sconfinata quando non si è chiamati a fare i conti con
le necessità reali. I liberali ci hanno insegnato che la cosiddetta
libertà positiva, seppure è libertà di volere, ha nel suo
esercizio un vincolo che rispetta le libertà altrui, e che i diritti
spettano ai cittadini che hanno sottoscritto un patto sociale
impegnandosi ad osservare in contropartita dei doveri. Questo impegno
nasce da una scelta comune che ha a che vedere con un comune sentire.
I migranti che approdano nel nostro suolo sono portatori di una
cultura che deve ancora misurarsi con i nostri costumi e la nostra
storia e deve guadagnarsi i galloni della cittadinanza attraverso un
percorso di avvicinamento alla cultura di chi li ospita. La politica
può aiutare i migranti in questo percorso di avvicinamento offrendo
soluzioni che diano loro dignità e li aiutino ad integrarsi e, sul
fronte interno, educando il popolo alla tolleranza. C’è chi non si
sente vincolato agli obblighi della solidarietà, chi è spaventato,
chi teme la concorrenza alla propria indigenza, chi ha paura che i
propri costumi e il proprio credo religioso vengano travolti, e non
merita per questo motivo di essere demonizzato ma di essere aiutato a
capire. Come si vede il problema non è semplice e la sfida è di
quelle che fanno tremare le vene ai polsi, ma la si può vincere se
politica e religione riescono a parlarsi. Certo il dialogo non è
incoraggiato dall’intransigenza di monsignor Galantino che
straparla di piazzisti da quattro soldi, di harem e relativismo
morale, e pretende una misericordia senza limiti da chi i limiti ce
li ha ed è costretto a misurarsi con le dure repliche della realtà
mentre tenta di affrontare e risolvere le problematiche prodotte
proprio dalla avventata generosità alla Galantino. Stupisce che la
Chiesa, nonostante sia stata ammaestrata durante il suo millenario
percorso dalle lezioni della storia, si sia arenata in una visione
semplicistica di un problema così complesso. Ma è la Chiesa di
Francesco, la Chiesa che si tuffa nella generosità di una morale
visionaria che non vuole sentire le ragioni della ragione, l’unica
capace di produrre una carità durevole, e della politica che è
l’arte del possibile, che si muove entro i confini imposti
all’azione umana, ma che rimane pur sempre la più alta forma di
carità (Paolo VI).
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