Bello il Natale, bello il solito rituale dei sentimenti
buonisti solennemente proclamati e non
autenticamente sentiti, belle le famiglie raccolte attorno al focolare domestico
intente, come ogni anno in questi giorni, a mentire sui buoni propositi che
saranno puntualmente disattesi, bello il trionfo delle luminarie per le strade
e lo splendore delle luci nelle vetrine dei negozi traboccanti di doni
luccicanti che sono un insulto alla miseria, bella la solidarietà per gli
ultimi compuntamente declinata ma dimenticata
per il resto dell’anno, belle le tavole riccamente imbandite e la crapula
smodata i cui avanzi prenderanno la via dei cassonetti dove i poveri andranno a
rovistare, belle le roboanti omelie degli improvvisati apostoli della carità
gonfi del sacro fuoco che metteranno in soffitta non appena sarà calato il
sipario sulla scena della rappresentazione in cartellone, bella l’ipocrisia di
un farisaico e mieloso afflato umanitario che durerà lo spazio di un mattino,
bello il grido del Papa contro lo scandalo della povertà mestamente destinato a
cadere nel vuoto di coscienze pie, bella l’aria ecumenica che invita a volerci
bene mentre il pugnale che colpirà alle spalle si nasconde tra le pieghe
dell’inganno, bello il clima festante che ignora il dolore del mondo. L’eco del
clamore pagano arriva nelle stanze della tortura ed aggiunge dolore a dolore infliggendo
una pena ancora più crudele della pena consueta. L’eco crudele giunge nelle
carceri e nelle bidonville, nei lebbrosari dei malati terminali, nelle mense in
cui si consumano le lacrime distillate da pasti non consumati, nei luoghi della
discarica in cui la società abbandona gli anziani, inutili resti di una umanità
che fu, nel desolato mondo dei reietti esclusi dal consorzio cosiddetto civile, in
tutti i luoghi dove l’uomo ha rinnegato se stesso. A tutti giungono proclami
che non dicono nulla e si aggrappano sconciamente alla inadeguatezza di una
pietà che pronuncia parole vuote, così come è vuoto l’augurio di buon Natale.