Il tic di certa cultura di sinistra ci regala in questi
giorni una delle tante sbornie nelle quali è solita incorrere, quella del pericolo
fascista che metterebbe a rischio la nostra democrazia. Si dichiarano
antifascisti i consueti personaggi che ci hanno abituato alle battaglie più
improbabili sui temi più vari, declinati con la solita intransigenza, e hanno
cavalcato ideologie che hanno costituito, esse si, un pericolo per la
nostra democrazia. Maitres à penser a braccetto con alti rappresentanti delle
istituzioni scendono in piazza e straparlano di pericoli inesistenti creando ad arte un clima d’emergenza che falsa
la lotta politica. Questi ineffabili
vessilliferi della democrazia a senso unico rivendicano l’esclusiva della
rispettabilità politica e della superiorità morale sventolando la bandiera
della lotta contro ogni genere di male, la corruzione, il malaffare, la decadenza
morale e politica, senza interrogarsi sulle proprie responsabilità, e demonizzano
gli avversari politici etichettati sbrigativamente
come fascisti. Antifascisti si dichiarano i giacobini
dei centri sociali che assaltano i luoghi di incontro di nostalgici fuori dalla storia e aggrediscono
le forze dell’ordine che hanno il solo torto di volere far rispettare la legge.
Nel momento stesso in cui dichiarano di volere combattere il fascismo, questi
teppistelli si comportano da fascisti negando agli avversari il diritto di esistere
e di esprimere legittimamente le loro idee. Antifascisti si dichiarano coloro che con
disonestà intellettuale tentano di far passare per una pagina di lotta al
fascismo quella che fu una vera e propria pulizia etnica perpetrata con
terribile ferocia dai macellai titini ai danni di migliaia di italiani d’Istria
e Dalmazia attraverso la pratica disumana
dell’ infoibamento. L’italianità fu considerata una colpa e confusa con
il fascismo e fu scritta una delle pagine più infami della ferocia umana che
alcuni cantori dell’epica partigiana in salsa messicana tentano di occultare o
di gabellare come una sacrosanta pagina di lotta antifascista. Antifascisti
si dichiaravano i protagonisti della stagione brigatista che assassinarono
servitori dello Stato, giornalisti, uomini politici, regalandoci uno dei
periodi più bui della nostra storia democratica e che gli antesignani degli
attuali campioni dell’antifascismo definivano con indulgente eufemismo: “compagni
che sbagliano”. Antifascisti
si dichiarano certi censori ai quali la cosiddetta società civile ha assegnato
il ruolo di guardiani della moralità e il diritto di stilare liste di
proscrizione con le quali stabiliscono chi è presentabile e chi non lo è,
escludendo, come è ovvio, coloro che a loro insindacabile giudizio sono
fascisti. Gli antifascisti
arrembanti in questa stagione di mistificazioni in cui tutto si confonde, non
si lasciano cogliere dal dubbio che la superiorità morale da loro rivendicata,
il rifiuto del dialogo con chi la pensa in maniera diversa dalla loro, la
mancanza di rispetto dell’altrui dignità, il fanatismo ideologico di cui sono
portatori sani, sono categorie di un integralismo settario che non ha nulla da
invidiare al fascismo. Non è il fascismo il vero pericolo, anche se fa un certo
effetto la Meloni in pellegrinaggio da Orbàn, il vero rischio è il populismo che
i protagonisti della politica di destra e di sinistra hanno concorso a far
nascere nei decenni passati ignorando l’arte del buon governo. I dilettanti
allo sbaraglio che inviano per posta al Capo dello Stato la lista dei ministri
dimostrando di non conoscere l’abc della grammatica costituzionale o che confondono
la Costituzione con la Bibbia e che con le loro boutades promettono un Paese
dei balocchi astratto dalla dura realtà che impone senso di responsabilità, essi,
si, sono il vero pericolo. E’ con loro che dobbiamo fare i conti, e per questo
bel regalo dobbiamo ringraziare chi li ha prodotti narrandoci le favole del
passato ma distraendosi e distraendoci dai problemi del futuro.