L’aria contegnosa e il volto corrucciato, il sopracciglio
perennemente arcuato in segno di disapprovazione, gli illuminati conducono la loro crociata in difesa della verità assoluta agitando
la bandiera della superiorità morale e predicando l’obbedienza al politicamente
corretto, la bibbia che è obbligatorio osservare se si vuole evitare la scomunica.
Questi sacerdoti dell’intolleranza ideologica, seppure in minoranza, riescono a
soggiogare con l’arroganza delle proprie ragioni la grigia maggioranza silenziosa
priva di qualsiasi ancoraggio ideale e incapace di ribellarsi alla
colonizzazione delle coscienze. Imperversano, linciano, macchiano reputazioni, incitano
le masse all’odio, gonfiano il petto indignati contro la corruzione e il malaffare,
invocano la condanna all’emarginazione, fieri del loro pedigree immacolato. Ma
la superiorità morale rivendicata in esclusiva dai nostri Torquemada non sempre
odora di bucato, essa, quando è in buona fede, è il volto ingenuo e velleitario degli onesti
che urlano la loro rabbia alla luna, ma il più delle volte è la facciata
perbenista dei sepolcri imbiancati che digrignano i denti per conto dei padroni
del vapore, la maschera imbellettata dei servi al guinzaglio di interessi
occulti in cambio di prebende e carriere. Quando dalle colonne della testate
giornalistiche e dai salotti dei talk-show addomesticati tuonano contro i mali
del mondo, in verità questi piazzisti del pensiero unico si prestano ad essere,
vuoi per calcolo, vuoi per cieco furore
moralistico, strumenti più o meno
consapevoli degli oligarchi annidati nei santuari del potere che, sotto mentite
spoglie, mentre si propongono quali modelli di virtù morali in sintonia con gli
umori della piazza, perseguono una tirannia economica, politica, finanziaria e
persino giudiziaria parallela al potere dello Stato. Pupi e pupari, insieme
appassionatamente, hanno buon gioco perché si misurano col vuoto, perché alla
loro arroganza culturale e morale fa da triste contraltare l’assenza di una solida
coscienza civica, la mancanza di una proposta alternativa che non sia quella di
una certa parte politica impresentabile la quale farnetica di valori liberali
con una spudoratezza pari all’inadeguatezza con cui li tradisce. Ma salire in
cattedra e pontificare sulle magnifiche sorti e progressive della loro
centralità morale non assolve i nostri demagoghi dalla responsabilità per i
rischi cui espongono la nostra civiltà, la civiltà del diritto, la libertà dal
ricatto morale, la libertà di scegliere secondo principi piuttosto che secondo
il verbo del pensiero dominante, la reputazione di chi è sfiorato dal sospetto,
gli stessi principi fondamentali della Costituzione tradita dai medesimi che la
celebrano. In questo quadro ci avviamo verso la consueta sceneggiata elettorale
apprestandoci a ripetere un déjà vu e a consumare il solito rituale con cui
consegneremo gli eletti nelle mani di chi ne farà uso per i propri fini. Alla
schiera dei talebani del moralismo si oppongono le falange degli imbonitori che
vantano la bontà della propria mercanzia, entrambe offrendoci, dopo la bisboccia che ha
prosciugato le risorse del Paese, la sbornia delle panzane e facendo a gara a
chi le spara più grosse pur di portare a casa i risultati utili alla loro parte.
Godiamoci questa fiera dell’inganno da qui al 4 marzo.