Spoleto 24-06-2014
Santità,
i mafiosi sono stati scomunicati e in conseguenza di
questa damnatio non avranno più accesso alle funzioni religiose né potranno
accostarsi all’eucaristia.
La Santità Vostra, con una furia accecata dall’ira, ha
iscritto contesti differenti ad una medesima terribile categoria del male e ha
posto fuori dal gregge della Chiesa i mafiosi allo stesso modo in cui lo Stato
italiano li dichiara cittadini indegni e qualche politico, in cerca di una
facile visibilità, ne auspica la morte in carcere in virtù del loro status,
anche se hanno già scontato le pene per i reati che hanno consumato. Un’alta istituzione
religiosa si è mischiata con le crudeli necessità della giustizia terrena alla
stregua di un qualsiasi Stato laico.
Mi ricordo di quando studiavo il catechismo e mi sono
imbattuto con emozione nelle sette opere di misericordia, fra esse: visitare i
carcerati. Sono opere che si fondano sull’amore che von Balthasar definiva
“accordo incondizionato con la volontà di Dio”, e mi riesce difficile pensare
che la volontà di Dio sia contenuta in un anatema che si priva dell’amore e lo
sostituisce con una intransigenza senza misericordia, con la chiusura al
perdono nei confronti di uomini che hanno sbagliato ma che con la scomunica sono
relegati definitivamente fuori dal recinto della redenzione.
I sacerdoti, i missionari, i diaconi, che operano dentro
le carceri, cosa diranno ai detenuti condannati per mafia? A scanso di
mortificanti discriminazioni io, per esempio, domenica non sono andato a messa.
Mi sono detto: vuoi vedere che il sacerdote mi nega la comunione?
E non sono il solo. Sono testimone della costernazione di
tanti compagni che vivono questa scomunica come una inaccettabile
espropriazione della loro fede sincera, altro che ritualità pagana la quale in
alcuni casi, lo ammetto, viene ostentata.
Che facciamo noi mafiosi (veri o fasulli) in carcere e
fuori? Al disgusto che suscitiamo nei bravi e virtuosi cittadini che prendono
le distanze da noi come si fa con gli appestati, dobbiamo aggiungere da oggi in
poi la clandestinità nella nostra fede nascondendo al prete l’identità mafiosa
con cui siamo stati marchiati?
E la Santità Vostra, così intransigente nei confronti dei
mafiosi, lo è altrettanto nei confronti di chi pratica la tortura, allorché la
condanna con parole sdegnate, senza però puntare il dito contro i nostri
governanti che non si fanno scrupolo di infliggere l’ergastolo e il 41bis, un
regime differenziato inumano e crudele che non fa onore a un Paese civile? Non
dovrebbe questa vergogna far vibrare di indignazione il Suo cuore e suscitare
l’ira? E invece la Santità Vostra aggiunge alla tortura la scomunica!
Mi perdoni, ma ho l’impressione che la Santità Vostra non
sia severo in maniera equanime, che veda il male, brandisca la severità
dell’Antico Testamento e condanni a vagare nel deserto il popolo infame dei
mafiosi, ma non sia capace di vedere il male quando a praticarlo sono i farisei
che spacciano la tortura per giustizia.
Il male è male, Santità, dovunque alberghi e non è un
male minore quello praticato da personaggi
paludati che si annidano all’ombra delle istituzioni.
Il Papa, a mio avviso, deve sapere snidare i farisei e
cacciarli fuori dal tempio, e deve sapere esercitare il perdono nei confronti
di chi ha sbagliato, come ci insegna la parabola del figliol prodigo.
Ho la sgradevole sensazione che il Suo anatema vada nella
direzione opposta.
Con amore immutato, un Suo figlio, nonostante tutto.
Nino Mandalà.