In questa estate infuocata dal caldo e da eventi drammatici
che sembrano aver fatto smarrire la ragione alla razza umana, balbettiamo
incapaci di uno scatto di reni. E non parlo di rispondere alla violenza con la
violenza, ma di recuperare l’identità che abbiamo perduto quando abbiamo
dimenticato il nostro passato e tradito l’eredità che esso ci ha lasciato. Siamo diventati mercanti che hanno posto al
centro dell’universo la struttura economica e una sovrastruttura finanziaria per
la maggior parte corsara e priva di scrupoli, e hanno mandato in soffitta sia
il sogno liberale che quello marxista. L’uomo incapace di creare la società a
misura d’uomo, la società impazzita che crea androidi dall’aspetto umano, sono
la dimostrazione di questo fallimento. L’uomo non è più l’obiettivo della
società ma strumento di consumo che ha abdicato alla propria identità e dignità
e di cui si può fare strame senza inorridire. L’esposizione oscena dei cadaveri
a Nizza, Dacca, Monaco, in Siria, in America,
in Africa, sono il segno della perduta considerazione del valore della vita, di
uno smarrimento del senso d’umanità che è lo scellerato patrimonio di entrambi
i fronti, quello della barbarie terroristica e quello della cosiddetta società
civile. Quando ci lamentiamo perché il terrorista islamico non ha rispetto per
la vita umana dimentichiamo che di questa vita si è perduto il senso proprio in
quella parte del mondo che ha dato i natali alla centralità dell’uomo. Il
lungomare di Nizza affollato di bagnanti all’indomani della strage è, con la
sua mostruosa normalità quotidiana, la testimonianza del relativismo su cui
abbiamo edificato il nostro futuro, una deriva di cui abbiamo le prove ovunque, anche dove il
terrorismo islamico non è ancora giunto.
Un esempio è l’Italia, Paese non ancora colpito dal terrorismo (almeno per il momento) ma afflitto da una peste altrettanto
esiziale, la decadenza morale e ideale che ha fatto del Paese terra di confine
esposta alle scorrerie di consorterie che hanno preso in ostaggio le
istituzioni e cannibalizzato le classi più deboli, prima fra tutte la
cosiddetta middle class, con pericolose ripercussioni sulla tenuta della democrazia.
Da qualche tempo ho preso l’abitudine di ritornare a letture fatte in passato.
In questi giorni sto rileggendo La Pelle di Malaparte e sono rimasto
impressionato dall’attualità del libro. In alcune sue pagine si legge: “Quando
gli uomini lottano per vivere, tutto, anche un barattolo vuoto, una cicca, una
scorza d’arancia, una crosta di pan secco raccattata nelle immondizie, un osso
spolpato, tutto ha per loro un valore enorme decisivo. Gli uomini sono capaci
di qualunque vigliaccheria, per vivere : di tutte le infamie, di tutti i
delitti, per vivere,…..a prostituirsi, a inginocchiarsi,…..a leccare le scarpe
di chi può sfamarlo, a piegare la schiena sotto la frusta, ad asciugarsi
sorridendo la guancia sporca di sputo”. E’ un affresco spietato della Napoli
del dopoguerra che torna terribilmente attuale nei nostri giorni. Dopo
settant’anni riusciamo ancora a misurarci con la miseria d’allora. Ancora
assistiamo alla scena straziante del pensionato che rovista nell’immondizia e
dei disperati della notte che bivaccano sotto le stelle, ma soprattutto
assistiamo al collasso della nostra civiltà, alla perdita dell’eredità delle
due grandi rivoluzioni che hanno attraversato l’Occidente, la rivoluzione
cristiana e quella dei lumi, alla giustizia sommaria che dà in pasto alla plebe
tumultuante chiunque sia sfiorato dal sospetto, all’attività giudiziaria
strabica e schizofrenica dove il libero convincimento troppo spesso viene
abusato, alla tortura in carcere con fini predatori (istruttiva in proposito la
descrizione che ne fa Voltaire cui fa eco in un recente articolo la denuncia di
Dacia Maraini), allo spettacolo disgustoso dell’arrivista che vende l’anima al
padrone di turno, ai contorcimenti di spregiudicati arrampicatori disposti a
tutto per un posto al sole, all’assalto alla vita altrui con cui gli sciacalli
saziano la propria voracità, all’avidità del potere, assistiamo, appunto, alla
negazione della centralità dell’uomo. I tanti migranti che affollano le nostre
strade chiedendo l’elemosina, i tanti giovani cui è stato negato un futuro, i
nuovi poveri che scendono sempre più numerosi verso il degrado, gli zombie che
navigano in rete rinunciando a relazionarsi, i tweet demenziali, la
condivisione su Facebook dei momenti più insignificanti della nostra vita con
degli sconosciuti, il calo verticale delle letture, il bla bla rissoso e inconcludente
nei salotti televisivi, sono le diverse facce della stessa medaglia, la perdita
irreversibile di ciò che eravamo, lo sprofondare in quello che Umberto
Galimberti ha chiamato “l’ospite inquietante”, il nichilismo. Questa società liquida in cui può accadere di tutto, è
appannaggio non solo dell’Italia ma dell’intera Europa, ed entrambe, pur senza condividere
Il giustificazionismo di quanti pretendono di fare risalire alle colpe
dell’Occidente il fenomeno del terrorismo, hanno qualcosa da farsi perdonare.
Il mondo che hanno creato si è rivelato incapace di affrontare le sfide che
incombevano e di intuire i pericoli che si profilavano all’orizzonte, ma si è rivelato
soprattutto incapace di generare uomini all’altezza del compito loro assegnato
dalla Storia, diventando al contrario terreno di coltura dei mostri che si sono
annidati come un virus infetto nel nostro organismo, quinte colonne del
terrorismo non arruolate dall’Isis ma che ad essa si ispirano trovando nella
comune farneticazione religiosa l’innesco alla loro frustrazione. Quando ci
indigniamo per le nefande imprese del terrorismo islamico, dobbiamo avere
l’onestà di indignarci per la nostra inadeguatezza e per la nostra mancanza di
ancoraggi ideali che è anch’essa una forma di destabilizzazione.
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