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domenica 18 ottobre 2015

Francesco

In una recente trasmissione televisiva è stata proposta una lettura delle doti che accomunano Giovanni XXIII e Papa Francesco. In particolare è stata messa in evidenza la capacità che aveva Papa Roncalli e di cui anche Francesco è dotato, di catturare il consenso dei fedeli con un carisma che attrae irresistibilmente. Di Giovanni XXIII è stato ricordato il famoso discorso con cui egli invitava i fedeli a portare una carezza ai bambini e dire loro che era la carezza del Papa e, tornando a casa, confortare i propri cari rassicurandoli che il Papa era con loro “specialmente nel momento della tristezza e dell’amarezza”. Mi è venuto in mente un altro saluto portato dal Papa buono ai carcerati quando, in visita a Regina Coeli il 28 dicembre 1958 , ha detto loro: “i miei occhi sono nei vostri occhi e il mio cuore è nei vostri cuori”. Quel Papa aveva un che di mistico che lo faceva apparire quale autentico erede di Cristo, un pastore che amava i suoi figli di quell’ amore che coinvolge ogni battito delle ciglia e del cuore, ogni momento della vita di ciascun uomo, uno ad uno, in ogni angolo sperduto della terra. Si può dire lo stesso di Papa Francesco? Egli sembra concepire il suo ministero all’insegna del risentimento anziché dell’amore, probabilmente perché ha convissuto con un contesto di ingiustizie sociali e di povertà materiale che lo ha indurito. Si ha come l’impressione che egli voglia far pagare il conto delle sofferenze di cui è stato testimone e affrontare i mali del mondo non con la misericordia che perdona ma con l’intransigenza che punisce senza remissione, quasi che il suo animo, intriso di pessimismo, non riesca a concepire la redenzione dell’uomo e lo porti a privilegiare altri obiettivi da salvare, come affiora nella sua ultima enciclica “Laudato si” dedicata all’ambiente. Secondo quanto teme Ettore Gotti Tedeschi, c’è il rischio che la Chiesa si lasci coinvolgere in una visione gnostica che sostituisce la fede nell’uomo con la fede nella natura ed elegge l’ambientalismo a religione universale. E’ una visione parente stretta della cosiddetta teologia naturale che si collega al concetto stoico di un universo armonioso, giusto e ordinato, “legge cosmica che governa il mondo e anche la nostra mente” (Mancuso), secondo cui gli esseri umani sono creati dalla natura-physis la quale contiene in sé il suo fine, la sua etica che rimanda all’ordine naturale senza bisogno di un intervento soprannaturale. E’ questo che vuole Francesco?  Di lui si può dire che le sue crociate rispondano allo spirito evangelico e che i suoi occhi e il suo cuore sono negli occhi e nel cuore degli uomini? O non si deve piuttosto temere che le sue scelte di campo risentano di uno scetticismo intransigente che rinuncia  a ricreare l’uomo ed anzi lo esclude dal progetto salvifico come ha fatto con i mafiosi? Non mi unisco a quanti sostengono che il Papa promuove se stesso piuttosto che Dio ma ammetto di essere confuso.  

venerdì 9 ottobre 2015

“La vita di un uomo” all’indice

Come era prevedibile “La vita di un uomo” sta provocando fibrillazioni presso le beghine della sacrestia forcaiola indignate perché a un “boss” è stata data la possibilità di esprimersi. Non sia mai che gli appestati escano dal lebbrosario nel quale sono stati cacciati. E’ allora che i sacerdoti del conformismo morale aprono le cateratte del loro sdegno e con aria spiritata pronunciano le loro fatwe contro chi tenta la fuga dall’emarginazione. Avverso il mio romanzo è in corso la crociata dei soliti campioni delle verità omologate che strillano i loro refrain demenziali ricalcando le orme dei censori di sempre che dalle barricate dell’intolleranza hanno tuonato contro il diritto di scrivere e di pensare. Il bello è che questi trafelati paladini della legalità e del bavaglio non hanno letto il libro né avvertono l’incongruenza di una simile omissione, convinti come sono che non ci si debba contaminare con l’opera di un mafioso e che tutto quello che egli esprime debba finire al rogo. Ma tant’è, è così che la lotta alla mafia diventa l’occasione per gli sciacalli di issare la bandiera dell’intransigenza morale e fare della bassa macelleria banchettando con le altrui vite pur di guadagnare carriere immeritate. Non ci sono strumenti legali per impedire che il romanzo di un “mafioso” venga pubblicato ma i custodi della purezza antimafiosa non demordono e avvelenano l’acqua in rete mandando allarmati messaggi con cui tentano di fare il vuoto attorno all’autore e all’editore e mettere il libro all’indice. Purtroppo per loro il libro ormai c’è, appartiene ai lettori e solo a loro spetta il giudizio non sulla dignità o indegnità dell’autore ma sul valore della sua fatica.

mercoledì 7 ottobre 2015

Destinati all’oblio

E’ da sempre in atto la disputa tra quanti sostengono che lo Stato di diritto, in nome della intangibilità dei diritti fondamentali dell’uomo, non debba mai essere violato, e quanti invece sostengono che esso debba essere sostituito con lo Stato di eccezione quando lo esigano le circostanze. La nostra civiltà giuridica ha da sempre sposato la prima concezione, sennonché da qualche tempo a questa parte i paladini dello Stato d’eccezione hanno avuto la meglio, hanno fatto irruzione nel terreno del diritto ed enfatizzando rischi strumentali, lo hanno piegato alle necessità che la circostanza imponeva, ora quella di superare l’immobilismo politico, ora quella di garantire la sicurezza che si pretendeva minacciata. Lo hanno fatto ricorrendo a misure eccezionali pur se esse palesavano evidenti limiti di illegittimità. Il 41 bis è una di esse. E’ illegittima perché lede diritti che sono alla base della nostra convivenza civile e perché contraddice il dettato costituzionale con buona pace dell’orientamento della Suprema Corte che con le sue pronunce ha privilegiato l’eccezionalità anziché il diritto pur di assecondare la deriva che conviene alla politica. Una vera e propria eresia. Leggo della battaglia per i diritti civili condotta da dissidenti a Cuba, in Iran, in Cina e dei nobili appelli alla mobilitazione in loro favore, leggo di come il maggior pericolo che insidia la loro battaglia è la solitudine, l’oblio e il senso di abbandono che sentono più dolorosi delle torture fisiche. Ebbene nelle celle del 41 bis e dell’ergastolo il senso di abbandono è percepito con uguale intensità. Sono luoghi nei quali ogni giorno è violato il rispetto per la dignità umana e dove il diritto è stato sospeso, in cui le giornate scorrono monotone e inutili, senza interessi e senza possibilità di riscatto, in cui la speranza si spegne nell’attesa del fine pena mai, in cui uomini fatti di carne e nutriti di sentimenti non possono abbracciare i loro cari per decenni e assaporano minuto dopo minuto il gusto amaro del tempo che non passa mai, dell’inedia che consuma il corpo e la mente poco a poco crudelmente, in compagnia della tentazione suicida che alita sul collo il suo invito accattivante, finché diventano l’ombra di quello che erano, ectoplasmi che si trascinano stancamente e sentono unicamente i loro passi, ossessionanti eppure cari, soli compagni di una solitudine assordante. E’una solitudine uguale a quella delle tante vittime della crudeltà a Cuba, in Iran, in Cina, ma ne differisce perché si appartiene ai figli di un Dio minore ed è condannata dalla nostra cattiva coscienza all’indifferenza e all’oblio. Vale la pena di vivere in queste condizioni? Qualche tempo fa si è conclusa con successo la battaglia per la moratoria della pena capitale condotta da quel personaggio straordinario che è Emma Bonino. E’ una battaglia nobile che però, pur nella sua onestà d’intenti, consegue un obiettivo inconsapevolmente crudele. Essa è combattuta invocando la sacralità della vita che nessuno, neanche lo Stato, può sopprimere, ma la sua generosità dimentica che la condanna all’ergastolo o al regime del 41 bis, pur risparmiando la vita, è un insulto ben più grave della morte perché costringe a vivere con l’ossessione del fine pena mai e nelle condizioni che ho sopra descritto. Ripeto, vale la pena di vivere in queste condizioni? O non vale piuttosto la pena che lei, signora Bonino, dolce e determinata paladina di battaglie ideali, inverta la direzione di marcia e, per i casi in cui la pietà l’impone, conduca la battaglia per la reintroduzione della pena di morte?